ferite a morte firmate anche voi l’appello

contro la violenza sulle donne

Il Sindacato di Polizia ha aderito al nostro appello

“Come poliziotti condividiamo in pieno l’appello al Governo e al Parlamento di ‘Ferite a morte’”. Così Nicola Tanzi, a nome del Sindacato Autonomo di Polizia di cui è segretario generale.
Il SAP ha aderito al nostro appello e ci racconta perché. “Da sempre siamo impegnati per contrastare qualsiasi tipo di violenza ed in particolare quelle di genere e lo stalking, che sono in costante e preoccupante aumento. La Polizia è il primo Corpo dello Stato ad annoverare personale femminile, addirittura già dal 1959 con il Corpo di Polizia femminile. Oggi le poliziotte operano nelle Questure e nelle Specialità come ‘front office’ nei confronti delle tante donne che con coraggio denunciano reati e soprusi di ogni tipo, dimostrando straordinaria professionalità e sensibilità. Combattiamo insieme questa battaglia contro il femminicidio per un’Italia più giusta!”.

Il manifesto

Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti non è affatto casuale.
Ormai si parla di femminicidio, ovvero un omicidio di massa del genere femminile: “violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna, in quanto donna” (Russel, 1976). E’ un fenomeno spaventoso che riguarda milioni di donne in tutto il mondo, un fenomeno spesso taciuto, o peggio scambiato per generico fatto di cronaca, ma stiamo parlando solo della punta dell’iceberg di una più̀ diffusa cultura di violenza contro le donne. Queste morti “annunciate”, invece, vengono spesso etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di famiglia.

Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini conosciuti, membri della famiglia, “amici”, compagni “ fidati”, proprio quelli che dovrebbero far parte della cerchia della loro intimità e sicurezza.

Il dato in Italia è impietoso: muore di violenza maschile (femminicidio) una donna ogni due /tre giorni(!).
E purtroppo nel nostro Paese, mentre parliamo della possibilità di quote rosa in politica, lo Stato ancora non difende come dovrebbe le donne sotto ricatto, molestate, sottoposte a continue minacce, violenze e fisiche e psicologiche dentro e fuori la famiglia, situazioni che, come sa chi lavora in questo campo, sono spesso l’anticamera dei delitti.
I centri-antiviolenza, le reti antiviolenza locali dei servizi si prodigano con passione, ma sono pochi e hanno finanziamenti a goccia dagli enti locali e dallo stato, un rubinetto più chiuso che aperto che non permette mai una seria programmazione sul territorio. Le leggi ci sarebbero ma non sono applicate.

Siamo tutte/i immersi in una cultura che non considera così importante la prevaricazione di un uomo su una donna in quanto basata sustereotipi di genere che condizionano le relazioni nella nostra società. Non esiste nelle scuole un’educazione ai sentimenti, agli affetti, alle relazioni, che aiuti gli adolescenti al rispetto di genere.
Manca ancora un monitoraggio nazionale che metta insieme i dati delle varie associazioni con gli sforzi dei volontari fai-da-te e con quelli delle istituzioni che a diverso titolo hanno a che fare con la violenza contro le donne: quando non si conosce un fenomeno o addirittura lo si disconosce è impossibile affrontarlo.

L’unica luce intermittente ci arriva dalle indagini dell’Istat sulla “Violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori dalla famiglia”, indagini che purtroppo sono episodiche e forniscono solo una stima – seppure scientifica e attendibile – basata su un campione rappresentativo della popolazione.

Bisogna unire gli sforzi, creare una rete così fitta che permetta alle donne di prevenire e combattere questa violenza.
La convenzione NO More! per esempio, frutto del lavoro di diverse associazioni unite per affrontare l’emergenza, indica il percorso che è necessario intraprendere per “richiamare le istituzioni alla loro responsabilità̀ e agli atti dovuti, per ricordare che tra le priorità dell’agenda politica, la protezione della vita e della libertà delle donne non può essere dimenticata e disattesa”.

Il nostro piccolo lavoro teatrale vuol essere uno stimolo, un pugno nello stomaco, un’occasione di riflessione, un tentativo di coinvolgere con una tournée nazionale l’opinione pubblica, i media e le istituzioni, creando nei vari luoghi occasioni di dibattito e discussione.

La drammaturgia è sempre servita ad attirare l’attenzione e a catalizzare le forze, ci piacerebbe tentare e lanciare il cuore oltre l’ostacolo.
In questo cammino noi speriamo, anzi siamo sicure che gli uomini saranno con noi, perché solo insieme potremmo sanare questa ferita.

I tre eventi teatrali sono realizzati in tre luoghi emblematici dell’Italia, a significare il carattere nazionale e trasversale del fenomeno della violenza, ed hanno l’obiettivo di sostenere:

  • la Convenzione No More!
  • la rete dei centri Dire
  • i centri antiviolenza e le associazioni presenti nei territori

Serena Dandini
(in collaborazione con Maura Misiti)

Status quo

L’Italia è sempre meno un paese per donne. Siamo precipitati all’ottantesimo posto nella classifica mondiale stilata dall’ultimo rapporto 2012 Global Gender Gap del World Economic Forum (24 ottobre 2012). L’Italia è tornata ai livelli di cinque anni fa nelle statistiche mondiali sulle pari opportunità tra donne e uomini. In questo già grave contesto, il fenomeno della violenza contro le donne italiane e straniere è un elemento di ulteriore inquietudine. Qualche dato dalle indagini Istat ci consente di quantificarne le dimensioni, e solo di immaginare la sofferenza che ne deriva:

l’Indagine sulle molestie sessuali del 2008-09 rivela che circa la metà delle donne in età 14-65 anni (10 milioni 485 mila, 51,8 %) hanno subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato. Quella del 2006 sulla violenza dentro e fuori la famiglia, stima che 6 milioni 743 mila donne dai 16 ai 70 anni sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Cinque milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%). Circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Il 14,3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner. Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner.

Il sintomo più clamoroso del fenomeno della violenza contro le donne sono i femminicidi, di cui in Italia non si hanno dati ufficiali, ma che sono da anni osservati dalla Casa delle donne di Bologna, sono numeri sicuramente sottostimati, che rivelano una escalation di violenza che conta 877 donne uccise dal 2005 ad ottobre 2012. La risposta alle donne che chiedono aiuto è presidiata e gestita con abnegazione sul territorio dai centri antiviolenza. Nel 2011 le donne in situazione di violenza intra ed extra familiare che si sono rivolte centri antiviolenza sono state 13.137 (dati dell’associazione nazionale D.i.Re, 2011). Di queste, quelle che si sono rivolte ad un centro antiviolenza per la prima volta rappresentano quasi il 70%, questo dato conferma la diffusione del fenomeno della violenza sulle donne e la necessità della presenza sul territorio di luoghi preposti a sostegno delle donne.

Il contesto europeo e internazionale sollecita da tempo gli stati membri e l’Italia in particolare ad adottare e ratificare le raccomandazioni prodotte in tema di violenza contro le donne, in particolare:

  • la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica)
  • le raccomandazioni conclusive rivolte all’Italia dal Comitato CEDAW del 2011 e dalla Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne del 2012. In quest’ultima è stato richiesto a vari Stati, tra cui Messico e Italia (unico Paese europeo, nel 2011), di adottare misure specifiche per il contrasto al femminicidio.