io me le ricordo quelle donne

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Le date tendo a scordarle, i compleanni, le assemblee, le scadenze, anzi non le scordo, le rimuovo.
Nei miei ricordi non fisso mai un evento a una data; odio le festività, le ricorrenze perchè è come se in quel giorno devi per forza essere triste o felice,
Oggi è il 25 novembre, il giorno della lotta contro la violenza sulle donne e oggi, ovunque, chiunque nel mondo ha qualcosa da dire contro il #femminicidio o qualsiasi forma di violenza fisica, psicologica, morale contro una donna in quanto donna.
Ma questa cosa, non so perchè oggi mi irrita, forse perche tanti di quelli che oggi hanno scelto uno slogan, un video, un messaggio, un immagine per ricordare che la violenza è sbagliata, poi oltre al 25 novembre che fanno? perchè molti possono fare e invece siamo qui a ricordare dei numeri…
Le vittime del 2013, del 2012, del 2014… sono di più, sono di meno, sono diverse, sono tutte uguali….
Allora io oggi voglio dedicare un pensiero a quelle donne delle quali mi ricordo il volto, la storia, il nome…
Del libro di Riccardo Iacona, “se questi sono gli uomini” , le storie me le ricordo tutte e di ogni donna mi immaginavo il momento della sua morte, il terrore, il non essere niente davanti a degli occhi iniettati di odio di quell’uomo che avevano amato, lasciato, rifiutato.
Mi ricordo di più quelle che avevano dei bambini e quando l’età di quei bambini era simile a quella dei miei, mi prendeva un senso di angoscia… perchè mi immaginavo il futuro stracciato di quei bambini, che avevano visto ammazzare come un cane la loro madre…
mi ricordo di quelle ragazze più giovani, che le foto su fb spesso ritraggono belle e sorridenti e quella bellezza l’avevano pagata cara, quel sorriso a tratti spavaldo di chi sa di essere bella era stato spento per sempre, perchè non era più rivolto a quell’uomo che avevano amato, lasciato, rifiutato
mi ricordo di quelle signore che avevano cercato di rifarsi una vita, ma quella che avevano trovato dopo era stata la peggiore che potesse loro capitare… dalla padella alla brace…alla morte.
Mi ricordo molti nomi e molti volti, mi ricordo storie di donne, donne come me
Mi ricordo anche le storie di quei pochissimi uomini che hanno accettato poi di farsi aiutare, di cercare di raccontare perchè.. solo che quel perchè racconto da quei pochi, pochissimi uomini che accettano di farsi aiutare era assurdo per me, un delirio dal quale capivo che nessuna donna può sfuggire quando cade in quella visione, in quel delirio.
Ma il l femminicidio non è certo un fenomeno dei nostri tempi, anzi tutt’altro, è nato nella notte dei tempi ma ancora non riusciamo a spiegarlo, a comprenderlo, a combatterlo.
E’ un batterio che c’è nelle relazioni di coppia, un batterio che può avere diverse forme… si annida subito, forse si nasce con quel batterio, nel bambino che apprende comportamenti  stereotipati verso le bambine, nel fanciullo che cresce sentendosi biologicamente diverso da una fanciulla, nell’adolescente che cerca di affermare il suo ruolo di maschio ancora con la voce da bambino e trova una ragazza adolescente che è già donna, mentre è ancora bambina,
Nell’uomo che non è più l’uomo-capofamiglia-capobranco-capoclan non lo è più, nemmeno nel suo rapporto di coppia, anzi spesso incontra una donna che sostiene una famiglia da sola, che costruisce la sua vita, la sua identità senza essere la dolce metà di nessuno.
Perchè è questo il grande inganno: libri, poesie, narrativa, leggende tutto ci ha fatto credere che una donna dovesse trovare nell’amore la sua metà perfetta, il suo completamento, la sua appendice vitale e invece no, siamo esseri che viviamo tutta la vita, una storia individuale e qualche volta incontriamo dei compagni di vita che ci fanno immaginare di vivere anche noi quella love-story che da secoli ci propinano, libri, canzoni, film…
E invece PER SEMPRE non esiste, perchè nemmeno ognuno di noi non è uguale a sè stesso per sempre, perchè allora dovrebbe esserlo qualcuno che ci è accanto?
ma adesso sto divagando…
Volevo solo dedicare un pò del mio tempo a ricordare quelle donne, che mi sembra mi assomiglino tutte, che adesso non ci sono più… e chissà cosa pensavano mentre la morte le andava incontro, chissà….
me le ricordo, non solo il #25 novembre… come raccontano queste mie foto
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questo è il mio blog, ci metto di tutto, quello che voglio, quello della mia vita che mi piace.
adesso voglio metterci anche quello che non mi piace…
non voglio raccontare o parlarmi da sola, vorrei invece dialogare e confrontarmi con altre persone sull’argomento che adesso vi dico.
sui network dove mi piace scorazzare non metto foto della mia famiglia, non racconto cose mie private, davvero private e non ho intenzione di farlo neanche qui…
però c’è qualcosa che succede nella mia vita privata che non accade solo a me, accade a molte persone,
ognuno ha la sua storia, le persone sono diverse, gli avvenimenti sono diversi, ma se si ha il coraggio di tirar fuori le cose e se ne parla senza sentirsi troppo coinvolti, allora si può scoprire che certi percorsi sono simili, simili i pensieri, simili le cause e simili le conseguenze, simili le storie di vita
spesso non ci riconosciamo più o non riconosciamo nell’altro alcuni aspetti che forse non sapevamo di avere e non immaginavamo neanche che l’altro ci pensasse in quella maniera così negativa.
svelo il mistero che non è quello di Fatima.
voglio parlare e scrivere di SEPARAZIONE, solo della semplice, banale, comune separazione!
o della fine di un amore, la fine di una storia lunga,
quel “per sempre che forse non era per sempre neanche in quel momento nel quale lo stavi declamando a voce alta davanti a tutti”.
A me piace leggere, ogni volta che leggo mi dico che quella cosa la potrei scrivere io, l’ho pensata anch’io e allora perchè non leggere qualcosa scritto da chi l’ha semplicemente vissuta ma non è uno scrittore, una scrittrice ma è semplicemente un’altra persona come me.
condividerò questo articolo anche su fb, ho molti “amici” se si possono chiamare amici quelli di fb, sono sicura che tra di loro ci sono molte persone che potrebbero “raccontarsi” “raccontarmi le loro storie.

io ci provo.

P.s. si può rispondere o scrivere anche sul mio blog, direttamente a me.

#saveourselves

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#saveourselves

salviamoci, salviamoci dal #femminicidio, salviamoci dai titoli dei giornali, salviamoci dall’etichettamento di che con le parole vuole “spiegare” l’uccisione di una femmina in quanto femmina, salviamoci dall’esposizione del cadavere e di tutta la vita di ogni donna prima uccisa e poi esposta, vivisezionata, raccontata con le parole di estranei…
quando muore una donna, quando muore di femminicidio, muore una parte di me, perhè in ogni donna che muore penso che quella donna potrei essere io, per tutte le volte che ho scelto, nella mia vita, di fare le cose che voglio, di avere l’immagine che voglio, di amare chi voglio e di non amare chi non voglio, per tutte le volte che non ho abbassato la testa, che non sono stata zitta, anzi che ho urlato e più sono stata ferita più ho urlato, per tutte le volte che ho provocato, che ho alzato i toni di una discussione, per tutte le volte che ho difeso i miei sentimenti e la mia identità, per tutte le volte che mi sono tenuta stretta i miei sogni quando qualcuno ha cercato di farmi sentire ridicola, illusa, una sognatrice inconcludente, per tutte quelle volte che avrei voluto avere in mano una clava e con una pelliccia di animale addosso sarei tornata nella preistoria, dove nasce quest’istinto che hanno gli uomini di conquistarci, di possederci, di averci, di non lasciarci andare, di toglierci la vita quando cerchiamo di viverla come vogliamo..
ogni volta che muore una donna, io vorrei avere in mano una clava, una pelliccia di animale addosso, entrare in quella grotta buia e riempire di clavate quella bestia-uomo, ma non per ucciderlo, no, perchè io non sono una bestia, sono una donna, sono una madre e a me piace dare la vita, e l’unico dolore che posso accettare è quello del parto, a me piace la vita, non toglierla,mai; gli darei solo tante, tante, tantissime clavate e lo costringerei a scrivere 1000 volte sui muri della grotta:
io non toccherò mai più una donna!
… però c’è un problema, io non indosso più la pelliccia di animale da molto tempo, non uso più la clava, anzi non l’ho mai usata, ho imparato ad ascoltare la testa e il cuore e a seguire la testa e il cuore e ho scoperto che quelle fanno più male di una clava a quella bestia-uomo che è rimasto ancora nella grotta buia, troppo buia e senza specchi!

speriamo ancora che sia femmina?

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“ISTAT:AUMENTANO DONNE COSTRETTE A LASCIARE LAVORO DOPO PARTO.
(ANSA) – Roma, 28 MAG – Le donne “sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli”. Cosi il presidente facente funzione
dell’Istat, Antonio Golini, nella relazione al rapporto annuale.
La quota di madri che non lavora piu’ a due anni di distanza
dalla nascita dei figli è passata al 22,3% nel 2012 dal 18,4%
del 2005. La stima per 2013. Il record negativo delle cicogne era del ’95.
Nuovo minimo storico per le nascite da quasi vent’anni. Nel 2013 si stima che saranno iscritti all’anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno “rispetto al minimo storico registrato nel 1995”.
(A E’ quanto riferisce l’Istat nel Rapporto Annuale. In cinque anni sono arrivate in Italia 64mila ‘cicogne’ in meno.(Le donne italiane in eta’ feconda
fanno pochi figli (in media 1,29 per donna) e sempre piu’ tardi (a 31 anni in media il primo figlio) ma anche le immigrate contribuiscono sempre meno alla natalita’ del Paese. “Pur mantenendosi su livelli di fecondita’ decisamente piu’ elevati di quelli delle donne italiane, il numero medio di figli per donna delle cittadine straniere (2,37 nel 2012) e’ anch’esso in rapida diminuzione”, riferisce l’Istat..”

questo è un dato allarmante.
io non sono stata costretta, ma ho scelto di lasciare il lavoro dopo il secondo figlio….
già nel 2007 i dati sull’abbandono del posto di lavoro erano in Italia abbastanza preoccupanti, dopo il primo figlio, si stentava a ritornare al proprio posto di lavoro, rischiando di vedersi demansionate, dopo il secondo figlio l’impresa era ardua anche dal punto di vista morale, vista il bisogno di cura dei bambini che bisognava cercare di conciliare con i tempi del lavoro, dopo il terzo figlio, pochissime e fortunate potevano conservarlo a patto di avere aiuti parentali o economici.

oggi la situazione è drammaticamente scesa verso numeri preoccupanti.

è una fotografia triste dell’ Italia che dimostra di non essere assolutamente un paese per donne, un paese per mamme, un paese per bambini…

Credo che, spesso,  chi decide di rinunciare a vivere completamente la propria maternità lo faccia perché non può fare diversamente, perché non può permettersi di lasciare il lavoro.

Certamente c’è anche chi dopo anni di studio e avendo un buon lavoro, non mette neanche in conto questa rinuncia e ne ha tutto il diritto.

Il problema è che il modello sociale contemporaneo ha costretto le donne a mettere sulla bilancia le cose importanti della propria vita, e ha costretto solo le donne a fare questa scelta, nonostante spesso in una coppia il lavoro più redditizio, lo abbia la donna, ma rimangono sempre le donne a dover scegliere. Più spesso, come rivela l’ISTAT le donne non scelgono più. E’ questo stato sociale che sceglie per loro.

 

 

 

 

per me è andata così, ….non è andata!

No, non è andata bene per me, perché non essere sincera?

Riccardo, il mio candidato sindaco, sì, ha ottenuto un magnifico risultato, un’ottima prima posizione e adesso ci aspetta il ballottaggio con la seconda candidata di area opposta, domenica 8 giugno. La mia squadra, sì, è stata sorprendentemente forte e come immaginavo, piena di ottimi elementi. Riccardo sarà sindaco, sarà un ottimo sindaco e avrà una buona squadra, ne sono certa!

Io ho gettato il cuore oltre l’ostacolo, ma l’ostacolo è stato più grande di me;

Per me avrei voluto, sì, ottenere un risultato diverso; avrei potuto, sì, fare di più, impegnarmi maggiormente;  avrei voluto, sì, non avere un piccolo e meschino coordinatore di circolo locale che non mi infliggesse l’ostracismo all’interno della mia area politica,

ma il condizionale nella vita non esiste, non conta, e tuttavia avrei forse ottenuto il medesimo risultato se le condizioni fossero state opposte, quindi che dire? ….è andata così, non è andata per me!

forse devo davvero considerare l’idea di dedicarmi al ricamo, all’uncinetto, alla prova-costume!

Una cosa buona la posso ancora fare, posso invitare a cena il mio gruppetto di elettori, staremo anche seduti comodi! …e tornare alle mie letture…

Fra cento anni, d’altronde, pensavo giunta sulla soglia di casa, le donne non saranno più il sesso protetto. Logicamente condivideranno tutte le attività e tutti gli sforzi che una volta erano stati loro negati. La balia scaricherà il carbone. La fruttivendola guiderà la macchina. Ogni presupposto basato sui fatti osservati quando le donne erano il sesso protetto sarà scomparso; ad esempio (in strada stava passando un plotone di soldati) l’idea che le donne, i preti e i giardinieri vivano più a lungo. Togliete questa protezione, esponete le donne agli stessi sforzi e alle stesse attività, lasciatele diventare soldati, marinari, camionisti e scaricatori di porto, e vi accorgerete che le donne muoiono assai più giovani e assai più presto degli uomini; cosicché si dirà: “Oggi ho visto una donna”, come si diceva “Oggi ho visto un aereo”. Può accadere qualunque cosa quando la femminilità cesserà di essere un’occupazione protetta, pensavo, aprendo la porta.

“Una stanza tutta per sé” Virginia Woolf

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ovviamente ….sono candidata.

io e Riccardo Poletto
io e Riccardo Poletto

bassano per tutti

Ovviamente… è questa parola semplice che spiega il significato della mia scelta di candidarmi nella lista BASSANO PER TUTTI,

Ovviamente perché mi lega un vincolo affettivo, morale molto forte a questa bellissima città,

Ci sono arrivata un lontano giorno del 1982, ho vissuto nel  collegio Pirani quando c’erano ancora le Suore della Provvidenza, ho frequentato il Liceo Classico Brocchi quando era ancora in via Verci, ho conosciuto in quegli anni persone bellissime che ancora oggi stimo, quell’esperienza ha segnato il mio destino e creato un legame con Bassano del Grappa che ho sempre considerato la mia città adottiva;

Ovviamente perché Bassano del Grappa è una città incantevole, una piccola perla che però ha bisogno di essere curata, valorizzata, ben amministrata, qui sono nati i miei figli, vanno a scuola, qui vivo la mia vita sebbene il mio sguardo sia aperto al mondo, qui mi confronto ogni giorno con le persone che fanno parte della mia vita.

Bassano del Grappa è una città complessa, dalle molte anime, dai molti aspetti, è una città che ha una storia antica, ma che deve continuamente proiettarsi al futuro,  cercando di non chiudersi nel campanilismo, deve fare rete con le realtà vicine piccole e grandi perché è legata al territorio circostante da molteplici fili. Bassano del Grappa è una città accogliente, ospitale, interessante, una buona amministrazione deve valorizzare ogni suo aspetto, migliorando servizi, dando opportunità, tutelando i diritti di chi ha meno tutele, investendo energie e risorse per migliorare la qualità della vita di tutti.

Ovviamente perché l’impegno nel sociale ha caratterizzato la mia vita da sempre, non l’ho mai vissuto come un impegno, ma come una passione, qualcosa che mi fa stare bene, che non potrei mai negarmi. La partecipazione, l’impegno, persino questa candidatura sono il mio naturale modo di dare voce alla mia coscienza sociale;

La Sociologia è la mia passione, lo studio della società, dei fenomeni sociali, la Sociologia e la Politica sono i miei interessi prevalenti, le intendo entrambe come qualcosa di nobile. So bene che parlare di Politica come qualcosa di nobile di questi tempi sembra quasi stridente eppure io, proprio perché la Politica è stata abbondantemente infangata da uomini scellerati che ne hanno stravolto e fatto stravolgere il significato, proprio per questo, faccio politica. Proprio per questo mi sono candidata nella lista “Bassano per tutti” al fianco e a sostegno di Riccardo Poletto, perché sono certa, sicura che Riccardo Poletto per primo e gli altri componenti di questa lista, sono persone per bene, oneste e per ognuna di queste persone parla la loro vita, il loro impegno.

Avevo voglia di fare questa esperienza e davvero, mai come in questo caso, lo faccio con grande entusiasmo, anche con timore ma senza spavalderia.

Abbiamo scelto con Riccardo Poletto e gli altri di usare le parole che più mi piacciono: l’attenzione al sociale, l’inclusione, la solidarietà, lo sguardo verso chi rimane indietro, credere nel  valore umano che ogni singolo cittadino ha, la voglia di dare slancio e vitalità a questa città, di creare rete e opportunità di lavoro, di essere al passo con i tempi e con lo sguardo al futuro, di curare e rispettare l’ambiente, di creare momenti di socializzazione e aggregazione.

Non ho dovuto pensarci a lungo, ho lasciato che la mia vita decidesse per me, al di là dei risultati, dei voti, di quanto io possa contribuire a sostenere Riccardo Poletto in queste amministrative, ho solo pensato che questa era la cosa giusta da fare per me, per l’amore che ho verso questa  città.

…speriamo che sia femmina!

H. Arendt M. Heidegger Lettere 1925-1975

tra i libri che devo ricordarmi di leggere…

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Copertina

Cara signorina Arendt!
questa sera devo tornare a farmi vivo con lei e a parlare al suo cuore. Tutto tra di noi deve essere schietto, limpido e puro. Soltanto così saremo degni di aver avuto la possibilità di incontrarci. Il fatto che lei sia stata mia allieva e io il suo insegnante è soltanto l’occasione esteriore di quello che ci è accaduto.
Io non potrò mai averla per me, ma lei apparterrà d’ora in poi alla mia vita, ed essa ne trarrà nuova linfa. Noi non sappiamo mai ciò che possiamo diventare per gli altri attraverso il nostro essere. Forse tuttavia una meditazione può chiarire quale azione di distruzione e ostacolo esercitiamo.
Non possiamo sapere quale via prenderà la sua giovane vita. Dobbiamo rassegnarci a questo. E la mia devozione nei suoi confronti deve soltanto aiutarla a rimanere fedele a se stessa. Che lei abbia perduto “l’inquietudine” significa che ha trovato il nucleo più intimo della sua essenza di pura fanciulla. E un giorno capirà e si sentirà riconoscente – non certo nei miei confronti- del fatto che la visita fatta durante “l’ora di ricevimento” sia stata il passo decisivo per andare oltre la via tracciata, riconducendola alla feconda solitudine della ricerca scientifica, che solo l’uomo sopporta – e solo colui che ha ricevuto insieme l’onere e il furore di essere creativo. “Gioisca!” questo è divenuto il mio saluto per lei. E soltanto se lei gioisce potrà diventare la donna capace di donare gioia, e intorno alla quale tutto è gioia, sicurezza, rilassamento, ammirazione e gratitudine verso la vita…

L’epistolario
Tra due persone accade che talvolta, assai raramente, nasca un mondo. Questo mondo è poi la loro patria, era comunque l’unica patria che noi eravamo disposti a riconoscere. Un minuscolo microcosmo, in cui ci si può sempre salvare dal mondo che crolla“. In queste parole di Hannah Arendt c’è tutta la forza e l’esclusività dell’amore che l’ha legata a Martin Heidegger. Si avverte nella sua dichiarazione il senso di un’appartenenza, la sicurezza di chi considera il loro incontro un inestimabile “dono”: “Non dimenticare – gli scriverà lei in uno dei momenti più difficili del loro rapporto – quanto sia forte e profonda in me la consapevolezza che il nostro amore è diventato la benedizione della mia vita“.
Dopo anni di “pettegolezzi letterari” e cronache più o meno romanzate, l’epistolario pubblicato dalle Edizioni Comunità chiarisce il legame tra la coppia filosofica più celebre del Novecento.
Attraverso le 119 lettere di Heidegger (da Hannah fedelmente conservate) e le 33 lettere di lei emerge non soltanto la cronaca di un amore che ha attraversato uno dei periodi più oscuri della storia contemporanea, ma un intenso ritratto della personalità di due protagonisti del pensiero contemporaneo. Quando si incontrano, nel 1925, Hannah ha solo diciannove anni. Segue le lezioni di Heidegger, astro emergente della filosofia che con le sue critiche ai grandi maestri mette scompiglio nel mondo accademico tedesco. L’attrazione è irresistibile e coinvolge insieme la sfera fisica e intellettuale. Lui, pur immerso nelle sue lezioni, rimane colpito dai suoi occhi “luminosi, splendenti, sognanti”. L’amore sboccia e li travolge, ma deve vivere di appuntamenti segreti, sotterfugi, lontananze: “Una forza demoniaca mi ha colpito– scrive lui – Non mi era mai accaduta una cosa del genere“. Più forte di tutto, in Heidegger, è comunque la paura dello scandalo, tanto che per mettere a tacere le voci sulla loro relazione le impone di lasciare i corsi a Marburgo. Lei, come sempre, obbedisce: “Avrei perso il mio diritto alla vita, se perdessi il mio amore per te” gli scrive quando lui la lascia. Ed è solo più tardi, dopo la delusione per le dichiarazioni antisemite e la compromissione con il regime nazista di Heidegger, che le loro lettere si interrompono per diciassette anni.
Quando Hannah riprenderà a scrivergli, le posizioni si sono ribaltate: lui è stato sospeso dall’insegnamento e vive sempre più isolato, lei è un’intellettuale famosa, che insegna nelle migliori università degli Stati Uniti. Eppure, subito dopo il nuovo incontro, nel 1950, Hannah scrive: “Questa serata è stata la conferma di tutta una vita. Quando il cameriere mi ha detto il tuo nome, il tempo si è fermato.” Le loro esistenze scorrono ormai lontane: Hannah, sempre più interessata a quanto di nuovo avviene nel mondo, è un’intellettuale impegnata e completamente inserita nel suo tempo. Heidegger rimane estraneo all’attività politica, che considera “fenomeno inquietante”, e trascorre in solitudine gli ultimi anni. Ma tra il grande filosofo e la sua allieva lo scambio epistolare prosegue, senza mai rinunciare alla reciproca tenerezza. E fino alla fine Heidegger ricorda gli anni trascorsi insieme come “i più eccitanti e i più intensi della loro vita”.

un’altra notte mi è passata sopra come un caterpillar e adesso… vorrei dormire un po’!

turcoise

Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare
perché mi porto un dolore che sale, che sale…
Si ferma sulle ginocchia che tremano, e so perchè…
E non arresta la corsa, lui non si vuole fermare,
perché è un dolore che sale, che sale e fa male…
Ora è allo stomaco, fegato, vomito, fingo ma c’è
E quando arriva la notte
e resto sola con me
La testa parte e va in giro
in cerca dei suoi perchè
Né vincitori né vinti
si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci,
l’amore continuerà…
Lo stomaco ha resistito anche se non vuol mangiare
Ma c’è il dolore che sale, che sale e fa male…
Arriva al cuore lo vuole picchiare più forte di me
Prosegue nella sua corsa, si prende quello che resta
Ed in un attimo esplode e mi scoppia la testa
Vorrebbe una risposta ma in fondo risposta non c’è
E sale e scende dagli occhi
il sole adesso dov’è?
Mentre il dolore sul foglio è
seduto qui accanto a me
Che le parole nell’aria
sono parole a metà
Ma queste sono già scritte
e il tempo non passerà
Ma quando arriva la notte, la notte
e resto sola con me
La testa parte e va in giro
in cerca dei suoi perchè
Né vincitori né vinti
si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci,
l’amore poi continuerà…
Ma quando arriva la notte, la notte
e resto sola con me
La testa parte e va in giro
in cerca dei suoi perchè
Né vincitori né vinti
si esce sconfitti a metà
L’amore può allontanarci,
la vita poi continuerà
Continuerà
Continuerà…

PostoOccupato

PostoOccupato

PostoOccupato è un’iniziativa importante e significativa, appena ne sono venuta a conoscenza, l’ho condivisa, prima ancora di cercare di capire chi l’aveva ideata. Iniziative come queste sono da condividere subito e convintamente. Ci sono molte azioni volte a sensibilizzare l’opinione pubblica su questa guerra, su questa strage di donne quotidiana, insopportabile.
L’idea che ci sia un posto dedicato ad una donna che non c’è più, perchè uccisa da un marito, compagno fidanzato amante ex, non-ex, è qualcosa che ci spinge, ci costringe a riflettere su cosa significhi la morte di una donna. Non le viene tolta la vita, le viene tolta la sua identità, le sue passioni, il suo futuro, il suo stare a questo mondo, i suoi sogni. L’idea che ci sia un posto occupato di una donna è, per me significativo, perché il posto di una donna non è solo quello in famiglia, col marito, con il compagno, il suo ruolo non è solo quello di moglie, compagna, amante. Ogni donna è molte, tante, diverse donne dentro di sé. Assassinando lei, si cancella tutto, si cancellano di colpo tutte le sue identità, i suoi volti.
Ecco perchè quest’iniziativa mi piace molto, perché vorrei vedere un PostoOccupato ovunque, ovunque quella donna avrebbe potuto esserci, ovunque quella donna abbia desiderato esserci, ovunque quella donna non potrà più esserci!

Per quello che posso cercherò di sostenere quest’iniziativa, sono sicura che ci sarà un PostoOccupato a breve anche qui nei miei dintorni.

riporto qui un articolo che ho appena condiviso su facebook, che spiega molto bene il senso di questa iniziativa.

” La memoria tangibile di un Posto Occupato
“Ogni volta che andavo via prendevo un pegno da casa tua per farti capire che sarei tornata. La mia sicurezza vacillava nella tua, stavo cambiando, ma non lo capivo. La mia curiosità diventava bisogno, la tua gelosia. La rabbia. Era finita, tu lo sapevi. Ti chiedevo il permesso di lasciarti, poi capivo e inorridivo. Non è giusto, dicevo. I miei discorsi infantili, sentivo che la mia volontà era solo la tua.
Uno schiaffo, il primo. Tu non sei mio padre, avevo urlato. Mi soffocavi contro il cuscino perché da morta non mi sarei mossa. Il mio pianto, le tue braccia che mi stringevano, calmati, sussurravi. Quando la sera mi aspettavi sotto casa fingevo di non vederti. Dove sei stata?, mi colpivi per farmi cadere, a terra sputavo saliva e sangue, io non ti lascio, ripetevi. Cercavo ossigeno per non soffocare. Non piangere, ordinavi, mi tappavi la bocca perché non mi sentissero. La prima volta le gambe si macchiano di lividi, la seconda no. Anche la città diventa esterna quando le mani servono solo a nascondere il viso. Perdonami, dicevi, non accadrà mai più. Ero sola, e i miei vent’ anni tremavano nelle tue tasche. Piangevo di nascosto sulla lapide di mio padre, pregando Dio che lui non vedesse. La vergogna. Non avrai mai il calore di una famiglia, dicevi. Durò anni. Le tue parole germogliarono come tentacoli nella mia testa.
C’è una linea sottile che separa la realtà dalla finzione, quella linea mi ha sempre impedito di andare oltre. È la porta scorrevole delle case in cui siamo ospiti, che guardiamo senza sapere se è nostro diritto entrare. Attraversare i corridoi, osservare i libri, i quadri, e i vestiti appesi negli armadi. Ancora tremo quando qualcuno mi chiede di te, e quando una mano mi accarezza pavento il giorno in cui mi colpirà, ma ho smesso di chiedere sempre permesso. Voglio annusare un letto disfatto al mattino per sentire l’odore di ciò che rimane dopo che tutti sono andati via. Annusare, toccare, guardare. Della mia vita di prima rimane solo un ricordo confuso e un cuscino bagnato di lacrime. Non prego più, non mi vergogno, non piango in cerca di assoluzione sulla lapide di mio padre. M’innamoro di tutto perché non ho mai conosciuto nulla. La mia croce me la porto dentro e, quando brucia, stringo i pugni e respiro forte. Quel dolore è la mia fortezza, un marchio a fuoco che mi ricorda, ogni giorno, che sono ancora viva.”
Questo frammento è stato estrapolato da un racconto intitolato Di anni, di Margi de Filpo, pubblicato sul blog letterario UnoNove. Mi sono servita di questo breve estratto per raccontarvi un’iniziativa culturale molto interessante che sta attraversando il Paese, passando per kermesse teatrali, festival letterari, atenei universitari e commissioni Pari Opportunità. Si chiama Posto Occupato, ed è stata ideata da Maria Andaloro, editrice de La Grande Testata, in memoria di tutte le vittime di femminicidio. “L’idea è nata da una riflessione scaturita da questa insopportabile strage quotidiana di donne. – afferma Maria Andaloro – Ho voluto trovare un modo per non dimenticare.
Peggio per non abituarci.
Ho immaginato di trovarmi in un luogo in genere affollato, un cinema, un teatro, un treno e di vedere un posto occupato da un oggetto, una borsa, un libro, uno zaino. Il tempo passa, lo spettacolo finisce o arrivate a destinazione, e quel posto sarà rimasto vuoto, quell’oggetto, lì. Li sarebbe rimasto il ricordo di quell’assenza. E così il minimo sarà chiedersi il perché di tanta atrocità mentre la nostra vita andrà avanti. E questo è lo scopo che si prefigge Posto Occupato, un’ iniziativa nata da una riflessione, come dice la breve spiegazione su FB, il social sul quale abbiamo lanciato l’iniziativa il 29 giugno scorso.”. L’iniziativa ha già incassato le adesioni e la solidarietà di molte personalità, come la regista Roberta Torre, lo scrittore Lorenzo Amurri, il magistrato Gherardo Colombo e anche della Federazione nazionale della stampa italiana. Il prossimo obiettivo di Posto Occupato sarà continuare la campagna di sensibilizzazione nelle scuole. “A ottobre abbiamo in progetto di iniziare una campagna nelle scuole superiori – sostiene Maria – perché Fabiana, che aveva appena a 16 anni, il prossimo anno a scuola non potrà andare, e l’assenza anche in una classe dovrà essere tangibile. Che sia da monito. Da giovani è necessario che sia chiaro a tutti che uno schiaffo a 16 anni non è un gesto d’amore, non lo è né a 16 anni né a 30 né a 50. Nessuno deve permettersi di pensare di poter avere il diritto di dare uno schiaffo e nessuna donna deve sentirsi in qualche modo in dovere di subirlo. La violenza contro le donne è trasversale, la sensibilizzazione. La condivisione, la volontà di stare tutti da una parte, e la violenza dall’altra forse potrà darci la possibilità di isolarla. Preoccuparci per le donne di certo è utile nel senso di occuparci prima. Insieme.”“Ogni volta che andavo via prendevo un pegno da casa tua per farti capire che sarei tornata. La mia sicurezza vacillava nella tua, stavo cambiando, ma non lo capivo. La mia curiosità diventava bisogno, la tua gelosia. La rabbia. Era finita, tu lo sapevi. Ti chiedevo il permesso di lasciarti, poi capivo e inorridivo. Non è giusto, dicevo. I miei discorsi infantili, sentivo che la mia volontà era solo la tua.
“Ogni volta che andavo via prendevo un pegno da casa tua per farti capire che sarei tornata. La mia sicurezza vacillava nella tua, stavo cambiando, ma non lo capivo. La mia curiosità diventava bisogno, la tua gelosia. La rabbia. Era finita, tu lo sapevi. Ti chiedevo il permesso di lasciarti, poi capivo e inorridivo. Non è giusto, dicevo. I miei discorsi infantili, sentivo che la mia volontà era solo la tua.
Uno schiaffo, il primo. Tu non sei mio padre, avevo urlato. Mi soffocavi contro il cuscino perché da morta non mi sarei mossa. Il mio pianto, le tue braccia che mi stringevano, calmati, sussurravi. Quando la sera mi aspettavi sotto casa fingevo di non vederti. Dove sei stata?, mi colpivi per farmi cadere, a terra sputavo saliva e sangue, io non ti lascio, ripetevi. Cercavo ossigeno per non soffocare. Non piangere, ordinavi, mi tappavi la bocca perché non mi sentissero. La prima volta le gambe si macchiano di lividi, la seconda no. Anche la città diventa esterna quando le mani servono solo a nascondere il viso. Perdonami, dicevi, non accadrà mai più. Ero sola, e i miei vent’ anni tremavano nelle tue tasche. Piangevo di nascosto sulla lapide di mio padre, pregando Dio che lui non vedesse. La vergogna. Non avrai mai il calore di una famiglia, dicevi. Durò anni. Le tue parole germogliarono come tentacoli nella mia testa.
C’è una linea sottile che separa la realtà dalla finzione, quella linea mi ha sempre impedito di andare oltre. È la porta scorrevole delle case in cui siamo ospiti, che guardiamo senza sapere se è nostro diritto entrare. Attraversare i corridoi, osservare i libri, i quadri, e i vestiti appesi negli armadi. Ancora tremo quando qualcuno mi chiede di te, e quando una mano mi accarezza pavento il giorno in cui mi colpirà, ma ho smesso di chiedere sempre permesso. Voglio annusare un letto disfatto al mattino per sentire l’odore di ciò che rimane dopo che tutti sono andati via. Annusare, toccare, guardare. Della mia vita di prima rimane solo un ricordo confuso e un cuscino bagnato di lacrime. Non prego più, non mi vergogno, non piango in cerca di assoluzione sulla lapide di mio padre. M’innamoro di tutto perché non ho mai conosciuto nulla. La mia croce me la porto dentro e, quando brucia, stringo i pugni e respiro forte. Quel dolore è la mia fortezza, un marchio a fuoco che mi ricorda, ogni giorno, che sono ancora viva.”
Questo frammento è stato estrapolato da un racconto intitolato Di anni, di Margi de Filpo, pubblicato sul blog letterario UnoNove. Mi sono servita di questo breve estratto per raccontarvi un’iniziativa culturale molto interessante che sta attraversando il Paese, passando per kermesse teatrali, festival letterari, atenei universitari e commissioni Pari Opportunità. Si chiama Posto Occupato, ed è stata ideata da Maria Andaloro, editrice de La Grande Testata, in memoria di tutte le vittime di femminicidio. “L’idea è nata da una riflessione scaturita da questa insopportabile strage quotidiana di donne. – afferma Maria Andaloro – Ho voluto trovare un modo per non dimenticare.
Peggio per non abituarci.
Ho immaginato di trovarmi in un luogo in genere affollato, un cinema, un teatro, un treno e di vedere un posto occupato da un oggetto, una borsa, un libro, uno zaino. Il tempo passa, lo spettacolo finisce o arrivate a destinazione, e quel posto sarà rimasto vuoto, quell’oggetto, lì. Li sarebbe rimasto il ricordo di quell’assenza. E così il minimo sarà chiedersi il perché di tanta atrocità mentre la nostra vita andrà avanti. E questo è lo scopo che si prefigge Posto Occupato, un’ iniziativa nata da una riflessione, come dice la breve spiegazione su FB, il social sul quale abbiamo lanciato l’iniziativa il 29 giugno scorso.”
L’iniziativa ha già raccolto le adesioni e la solidarietà di molte personalità, come la regista Roberta Torre, lo scrittore Lorenzo Amurri, il magistrato Gherardo Colombo e anche della Federazione nazionale della stampa italiana. Il prossimo obiettivo di Posto Occupato sarà continuare la campagna di sensibilizzazione nelle scuole. “A ottobre abbiamo in progetto di iniziare una campagna nelle scuole superiori – sostiene Maria – perché Fabiana, che aveva appena a 16 anni, il prossimo anno a scuola non potrà andare, e l’assenza anche in una classe dovrà essere tangibile. Che sia da monito. Da giovani è necessario che sia chiaro a tutti che uno schiaffo a 16 anni non è un gesto d’amore, non lo è né a 16 anni né a 30 né a 50. Nessuno deve permettersi di pensare di poter avere il diritto di dare uno schiaffo, e nessuna donna deve sentirsi in qualche modo in dovere di subirlo. La violenza contro le donne è trasversale. La sensibilizzazione, la condivisione, la volontà di stare tutti da una parte e la violenza dall’altra forse potrà darci la possibilità di isolarla. Preoccuparci per le donne di certo è utile nel senso di occuparcene prima. Insieme.”

#neancheconunfiore

nessunotocchiRosalia

Femminicidio, da Palermo parte la mobilitazione: “Nessuno tocchi Rosalia”
“Nessuno tocchi Rosalia” è il nome dell’iniziativa contro il femminicidio messa in campo da
Coordinamento antiviolenza 21 luglio, Le Onde Onlus e Coordinamento Palermo Pride in occasione del Festino di Santa Rosalia, in programma a Palermo fino al 15 luglio. “Ferite a Morte” – e in particolare Serena Dandini e Maura Misiti, le autrici del nostro progetto – hanno già aderito alla mobilitazione. La campagna prevede la creazione di un badge virtuale che ognuno possa “indossare” sul proprio profilo Facebook con un clic. Si tratta di farsi un autoscatto con un fiore in mano, o in bocca, o tra i capelli e, attraverso un programma online, trasformare la propria foto profilo in una specie di manifesto con sopra il titolo “neanche con un fiore” e sotto il claim “nessuno tocchi Rosalia”. Si prevede anche la creazione di due hashtag per twitter e facebook: #neancheconunfiore #nessunotocchirosalia. Domani, poi, è in programma alle 19 un flashmob in piazza Politeama, per il quale si richiede di portare nel luogo d’incontro un fiore. Lì sarà allestita anche un’installazione non permanente  composta da 124 sagome di donna tracciate a gesso che si tengono per mano formando delle catene. “L’iniziativa – spiegano le organizzatrici – sta avendo una grande risposta el’assassinio di Rosy Bonanno ci ha confermato  quanto ancora va fatto per prevenire le morti annunciate”. La corrispondenza con il festino di santa Rosalia non è un caso: Rosalia , secondo la leggenda popolare a cui l’iniziativa ha scelto di riferirsi, è stata vittima di quelle pressioni all’interno della sua famiglia, da cui è riuscita a sfuggire per mezzo dell’eremitaggio e che nella vita di tutti i giorni, per molte donne, sfociano in episodi di violenza. Inoltre, il tema del Festino 2013 è “fautori di futuro”: non si può prescindere da quanto oggi le donne siano un fortissimo elemento di rinnovamento sociale e da come, attraverso la rivendicazione dei loro diritti, rappresentino in tutto il mondo la rivendicazione dei diritti umani in senso lato. Inoltre sono le donne, le madri-educatrici che creano e preparano quello che di fatto è il futuro dell’umanità.
iMaura Misiti

#femminicidio

Siena SENONORAQUANDO
Siena SENONORAQUANDO

Eppure sento che si può fare di più, molto di più.

Insomma qualcosina succede, è vero, i giornalisti tanto per cominciare non usano più o quasi più la frase, delitto passionale; un articolo sul femminicidio viene letto, anche se poi cambiando il nome di donna, la storia è sempre quella. Si dice femminicidio l’uccisione di una donna in quanto donna, in quanto femmina per mano del suo  marito/compagno/amante/fidanzato etc.

La convenzione di Instanbul certo, anche l’Italia passetto dopo passetto  l’ha ratificata, ma il percorso non è ancora terminato, C’è ancora tanto da fare.

Poi il Parlamento,  la Presidente della Camera che pronuncia la parola femminicidio nel suo discorso di insediamento, anche quello un bel passo avanti, ma c’è ancora da fare.

Qualche partito, il mio ad esempio, non per falsa modestia, ma è vero, il mio partito questa emergenza non l’ha messa da parte, Assolutamente è nell’agenda delle cose importantissime da affrontare. Ma i numeri sono impietosi e in questo strano e torbido governo, si fa tutto quello che si può, ma non basta. C’è tanto da fare.

Le associazioni nel territorio, le iniziative locali sono sempre di più. Tante, tantissime. Ma sì combatte sempre contro i mulini a vento. Non ci sono fondi per sviluppare i progetti, per attivare servizi, per garantire tutela, per fare prevenzione, per portare avanti personale, per formare professionalità. C’è tanto, davvero tanto da fare.

E poi ci sono quelle come me, che se c’è da scendere in piazza si scende, se c’è da firmare una petizione si firma, se c’è da sostener un’iniziativa la si sostiene.

Quelle come me che ogni volta che viene uccisa  una donna, si spegne un sorriso; ogni volta che viene uccisa una donna, si intravedono,  dietro quelle poche righe di un articolo di cronaca,  tutto il dolore, l’ingiustizia, l’assurdità di un’altra storia finita male. quelle come me che  non hanno intenzione di stare a guardare, perché no, non si può assistere ad un flagello, ad uno sterminio senza neanche provare a fare qualcosa. Fare qualcosa assieme.

Quelle come me non risolvono i problemi del mondo, anzi a stento risolvono i propri di problemi; non sono paladine, non sono amazzoni, sono solo donne, a volte madri, che hanno quel dannato istinto di salvare la specie, la loro specie. Una questione primordiale forse.

Se c’è qualcosa che si può fare, la si deve fare, assolutamente. Non possiamo crescere dei figli, maschi e femmine ed essere indifferenti a certe cose. C’è qualcosa che è sfuggito alle nostre madri se per molti, troppi uomini l’idea di amore, coppia, libertà,  si è deformata in possesso, appartenenza, punizione estrema, C’è qualcosa che il mutamento della società ha prodotto e continua a produrre , di sbagliato,  di degenerato,  se una donna alla fine è solo un corpo. Un corpo da ammirare, da  volere, da possedere, da pensare di amare e alla fine quando il corpo prende vita e cerca di allontanarsi, alla fine quel corpo si può punire, togliendo per sempre quella vita che aveva dentro.

nella vita quando ti trovi davanti ad un bivio…

L’altra sera sono andata al cinema, ho visto un film, cominciava più o meno con questa frase: nella vita quando ti trovi davanti ad un bivio, …prendilo!

e basta!  prendilo, ma in quale direzione?

io per esempio più che davanti ad un bivio , mi sento in una rotatoria ad uscite anzi a bivi multipli.  e se la macchina è accesa, puoi fare il giro un paio di volte ma poi da qualche parte devi andare,

e se non c’è la segnaletica, allora dovrei andare dove mi porta il cuore, o la ragione, la pancia, o il buonsenso?  o la realtà, o la concretezza, o il sogno….o il destino?

pare facile, quando ti trovi davanti ad un bivio, prendilo…

io comincio ad odiare citazioni, aforismi e proverbi, tutti questi saggi vivi o morti che sapevano sempre cosa fare davanti ad un bivio

intanto io sto nella rotatoria e non ne esco fuori… chissà forse metto il pilota automatico, tolgo tutti i freni e lascio andare la macchina dove va, da qualche parte devo pur andare.

io tutte le decisioni le ho prese, lasciandomi prendere… come se in realtà non fossi proprio solo io a decidere, ma fosse la vita stessa a mettermi sulla via.

Così, anche adesso che sono seduta sotto un portico di una casa in pietra, ai piedi del Monte Grappa e da casa mia parte un sentiero che porta su in cima al Monte Grappa e poco distante, scorre il fiume Brenta che va dritto anzi ondeggiando verso il mare Adriatico, il mio mare e penso che se sono qui adesso è certamente perchè davanti un po’ di bivi li ho presi, certamente perchè l’ho voluto io, ma questa strada non è arrivata per caso sulla mia vita. Potrei anche tornare indietro nel tempo fino a più di trent’anni fa,  quando un evento, una cosa successa a mio padre ha messo in moto una serie di accadimenti e lo scenario della mia vita si è trasformato continuamente come in un film con tanti set in sequenza. E adesso sono qui seduta sul portico della casa in pietra ai piedi del Monte Grappa con un sentiero che va in cima al monte ed un fiume che va o forse dovrei dire, come mi suggerisce il cuore, che torna verso il mare Adriatico, il mio mare.

Quando ero bambina mi piaceva immaginare vite diverse, ho fantasticato di vivere nei posti più disparati del mondo, di vivere le storie più romantiche e di seguire il mio amore ovunque mi portasse, ho desiderato di scegliere le professioni più disparate, dei libri mi piaceva immedesimarmi nella vita, nella storia dei protagonisti, ma sopratutto desideravo di vivere in tutti quei posti, di ogni libro. Avevo sempre quel sogno della vita come viaggio in vite diverse. Come se da sempre avessi saputo che certe persone nascono e vivono tutta la loro vita in un solo posto e certe altre nascono in un posto e poi la vita li porta altrove, per scelta, per caso, per amore, per disperazione, per curiosità, perché c’è sempre un bivio ad un certo punto, ma la destinazione può essere dietro l’angolo o dall’altra parte del mondo, può essere una sosta nella vita che si sta vivendo o l’inizio di una vita nuova e sconosciuta.

il film dell’altra sera finiva così, che la voce di donna narrante, diceva, ” nella vita quando ti trovi davanti ad un bivio, prendilo!  e io diceva,  l’ho preso, non so dove mi porterà, ma l’ho preso. Buona fortuna”

 

 

 

E’ proibito non creare la tua storia… Pablo N.

È proibito
piangere senza imparare,
svegliarti la mattina senza sapere che fare
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realta’.
È proibito non dimostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perche’ le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgono meno della tua,
non credere che ciascuno tiene il proprio cammino
nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che cio’ che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo puo’ togliere.
È proibito non cercare la tua felicita’,
non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare,
non sentire che, senza di te,
questo mondo non sarebbe lo stesso.
non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.

Pablo Neruda

white-rose

Oceano Mare

mare

 

Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno un padre, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano. Basterebbe la fantasia di qualcuno un padre, un amore, qualcuno. Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente, e bella. Una strada da qui al mare. ”
Alessandro Baricco

il mio amico Davide Cerullo

51886_1192369066545_4371126_o 51886_1192369106546_230235_o 51886_1192369146547_7954096_o 62441_1197413072642_1048465_n 264086_2389138025021_153852425_nHo ricevuto la telefonata del mio amico Davide Cerullo, mi ha dato una bella notizia. E’ riuscito a tornare a Scampia.  So cosa vuol dire per lui e ne sono davvero felice. Avevo visto un reportage fotografico su Repubblica su Scampia e le Vele, aveva scritto anche un libro “Ali Bruciate. I bambini di Scampia”. Lo avevo cercato e invitato a Bassano  del Grappa a presentare il suo libro. Ho conosciuto in quell’occasione, un uomo eccezionale, estremamente sensibile.  E’ riuscito a trasformare la sventura di una vita sbagliata nell’occasione di una rinascita straordinaria. Non lo sapeva, ma io Scampia,  le sue Vele e i suoi bambini li ho nel cuore. Così quella volta della presentazione del libro, Davide è stato ospite a casa mia, ma c’erano anche a sua insaputa tre bambini e una suora di Scampia.  Abbiamo tirato l’alba a raccontarci Scampia. Davide nella sua nuova vita non ha mai smesso di lottare, scrivere, sensibilizzare sulla situazione di disagio sociale che vivono i bambini a Scampia. Lui non lo fa alla maniera di Saviano, non gli importa di parlare di droga, camorra, mafia, criminalità seppure le conosce benissimo quelle cose. Le ha vissute sulla sua pelle. Lui lo fa alla sua maniera, mantenendo fisso lo sguardo ad altezza di bambino. Perché quell’infanzia serena e spensierata che la vita gli ha negato, lui la vorrebbe donare ai bambini di oggi che vivono in quell’angolo di mondo. E’ poi perchè non sopporta che Scampia sia sempre e continuamente infangata da notizie di cronaca, da pregiudizi e luoghi comuni. Non sono tutti baby-delinquenti i bambini di Scampia, non sono tutte disastrate le famiglie. Ci sono moltissime straordinarie persone che hanno solo bisogno di essere guardate con occhi diversi.

Dovevo anch’io essere giù a Scampia oggi, avrei rivisto Davide con piacere.

Perché a Scampia in questi giorni c’è  il SIMPOSIO INTERNAZIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA A SCAMPIA 5° EDIZIONE!

Sono lì con il cuore davvero, c’è lì una parte importante di me.

Sono contenta di aver sentito il mio amico Davide Cerullo, chissà che non riesca a farlo tornare a Bassano del Grappa a presentare il suo nuovo libro che ha scritoo con Erri De Luca. Chissà…

Tanti auguri Davide per la tua nuova residenza….

egò s’agapò, Alexos Panagulis… lo amavo anch’io, così.

un uomo. oriana fallaci“… Mi aggrappai al tavolino, accesi una sigaretta con mani che tremavano. Forse non ero innamorata di te, o non volevo esserlo, forse non ero gelosa di te, o non volevo esserlo, forse m’ero detta un mucchio di verità e menzogne ma una cosa era certa: ti amavo come non avevo mai amato una creatura al mondo, come non avrei mai amato nessuno. Una volta avevo scritto che l’amore non esiste e se esiste è un imbroglio: che significa amare? Significava ciò che ora provavo a immaginarti impietrito, perdio, con lo sguardo di un cane preso a calci perché ha fatto pipì sul tappeto, perdio! Ti amavo, perdio. Ti amavo al punto di non poter sopportare l’idea di ferirti, pur essendo ferita, di tradirti pur essendo tradita, e amandoti amavo i tuoi difetti, le tue colpe, i tuoi errori, le tue bugie, le tue bruttezze, le tue miserie, le tue volgarità, le tue contraddizioni, il tuo corpo con le sue spalle troppo tonde, le sue braccia troppo corte, le sue mani troppo tozze, le sue unghie strappate. […] E forse il tuo carattere non mi piaceva, né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto inguaribile, che ormai non potevo più concepire la vita senza di te. […] E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo elencare tutti i segni, i fenomeni. […] Gettai via la sigaretta con rabbia. Ma un amore simile non era neanche una malattia, era un cancro! Un cancro. Come un cancro che a poco a poco invade gli organi col suo moltiplicarsi di cellule, il suo plasma vischioso di male, e più cresce più divieni cosciente del fatto che nessuna medicina può arrestarlo, nessun intervento chirurgico può asportarlo, forse sarebbe stato possibile quand’era un granellino di sabbia, un chicco di riso, una voce che grida egò s’agapò, un amplesso mentre il vento fruscia tra i rami d’olivo, ora invece non è possibile perché ti ruba ogni organo, ogni tessuto, ti divora al punto che non sei più te stessa.[…] V’è una caratteristica lugubre negli ammalati di cancro: appena capiscono che esso ha vinto o sta per vincere, cessano di opporgli i farmaci, il bisturi, la volontà e si lasciano uccidere con sottomissione, senza maledirlo, neanche rimproverarlo del martirio che esige. […] …così il cancro aveva proseguito il suo corso per dimostrarmi che amare significa soffrire, che l’unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere. In altre parole il mio problema era insolubile, la mia sopravvivenza impossibile, e la fuga non serviva a nulla. A nulla? Alzai la testa. A qualcosa serviva: salvare la mia dignità.”

un uomo, oriana fallaci

un uomo. oriana fallaci“Negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta….non ti risposi mai che ero dove il destino esigeva che fossi perché il destino aveva stabilito che ci incontrassimo quel giorno e a quell’ora, non prima”

ultimo giorno di scuola…

my birth

Oggi ludovica e niccolò concludono l’anno rispettivamente di prima media e prima elementare.

Hanno iniziato la  loro storia scolastica tutti e due in anticipo, più piccoli dei loro compagni di scuola,  sarebbero quelli da primina-non-primina. Questa storia di essere sempre i più piccoli della loro classe, per loro è sempre stata positiva, come essere sempre  i fratellini o le sorelline più piccoli, niccolò poi col suo faccino d’angelo e il suo caschetto già alla materna giocava a fare il piccolo leader. ludovica è seriosa e attenta, lei sceglie la sua best-friend, ieri è andata ad abbracciare la sua mitica e amata maestra Teresa delle elementari, la sua best-teacher.

Quest’anno è stato un anno molto importante per loro, per me, per tutti, un anno di grandi cambiamenti. Loro a scuola hanno imparato tanto e a casa hanno insegnato tanto a me. Mi hanno insegnato che nella vita bisogna rimanere se stessi anche se il panorama affettivo attorno cambia, si trasforma, mi hanno insegnato che bisogna essere determinati, ma flessibili. Mi hanno insegnato che anche quando punti i piedi dicendo voglio questo, voglio quello, in realtà stai pensando vorrei questo, vorrei quello. Mi hanno insegnato che è bello portare a casa un bel voto, ma la cosa più bella sono gli amici, i compagni, le esperienze fatte assieme ad altri, perchè la scuola è bella per questo, perchè non si è mai soli. Così anche se una sceglie di avere la best-friend e l’altro ha la sua piccola band, mi hanno insegnato che l’importante è non rimanere mai da soli.

Però una piccola soddisfazione l’ho avuta anch’io: ludovica mi ha portato a casa un volantino per una mobilitazione contro la costruzione di una grande opera che qui avrà un forte impatto ambientale. mi ha detto, mamma dobbiamo partecipare anche noi, è importante. Ho sorriso e ho pensato che forse quella mamma che in piazza ci va spesso a protestare, che si indigna, che parla, sempre parla di politica, qualcosa gliel’ha insegnato alla sua bambina. Brava Ludovica, si è meritata un bel 10 in impegno sociale.

Adesso intanto si godranno le loro meritate vacanze e perchè no, un pò di Puglia che fa sempre molto bene.

E’ finito l’anno scolastico per ludovica, per niccolò e …per beatrice.

articolo di Franca D’Agostini, su La Stampa

mi piace quest’articolo, lo ritaglio e lo incollo…

Se Non Ora Quando
QUALCOSA NON VA NEL “MASCHILE”. E NEL “FEMMINILE”
Dietro alla tragedia del femminicidio: il problema è che le immagini di uomo e di donna a cui siamo abituati non funzionano più.(Franca D’Agostini, La Stampa)

Helene von Druskowitz, filosofa austriaca dell’Ottocento, morta in manicomio dopo aver scritto opere geniali e stravaganti, come il Vademecum per gli spiriti più liberi. Proposizioni cardinali pessimistiche, così descriveva «il maschio»: «micidiale per attitudine, violento e invidioso, generatore di guerra, amante del potere, ottuso distruttore della natura e di se stesso». Dal punto di vista di Von Druskowitz tutti i problemi dell’umanità si riducono a uno solo, e semplicissimo: il rissoso individuo ha preso possesso della storia umana, e sta portando rapidamente l’umanità alla rovina. Brillante provocatrice, un po’ come Nietzsche (che conobbe), la von Druskowitz era omosessuale, e principalmente per questo trascorse in manicomio vent’anni della sua vita. Ma era paziente «tranquillissima», dissero i medici; e in fin dei conti oggi si direbbe sanissima, visto che l’unica sua malattia era a quanto pare la «misandria», l’odio per il maschio.

Non c’è bisogno di raggiungere gli eccessi della von Druskowitz per riconoscere che nel «maschile» c’è qualcosa che non va. E correlativamente qualcosa non va nel «femminile» così come si è configurato e modellato, nella prospettiva del maschile. E quel che non funziona, beninteso, non sono gli uomini e le donne, ma appunto il maschile e il femminile, vale a dire: quel che gli uni e le altre si aspettano e devono aspettarsi dal loro essere nel modo in cui si suppone siano.

È questo in definitiva il problema di fondo da cui si genera il fenomeno del «femminicidio». La diagnosi non è difficile: il problema è che le immagini di «uomo» e di «donna» a cui siamo (specie gli uomini) abituati non funzionano più, e a contatto con le nuove realtà esplodono e si traducono in follia. Come notano Loredana Lipperini e Michela Murgia, in L’ho uccisa perché l’amavo: falso! (Laterza 2013), l’amore non c’entra nulla, la vera spiegazione è: «l’ho uccisa perché metteva in crisi la mia immagine di maschio possessore e dominatore». E in Se questi sono uomini, Riccardo Iacona (Chiarelettere 2012) lascia vedere molto bene, ri-narrando i diversi femminicidi, che per lo più le donne uccise erano donne brave, forti, e gli uomini erano deboli, senza lavoro, umiliati nella loro difficoltà di essere «maschi». La malattia si è rivelata dunque in tutta la sua chiarezza. Ed è chiara anche la soluzione. Come hanno ribadito di recente Laura Boldrini su Repubblica, Lorella Zanardo sul Fatto, Simonetta Agnello Hornby sulla Stampa, i provvedimenti devono muoversi in due direzioni: sul piano istituzionale (creando leggi, e aggravanti «di genere»), e sul piano culturale: modificando la visione del maschile e del femminile che ancora circola nelle nostre menti, e nelle immagini propagate dai media.
La direzione numero due è la più profonda e radicale. Ma resta un dubbio. Che cosa mettiamo, esattamente, nelle «nuove» immagini che dobbiamo diffondere, insegnare, difendere? Chi siamo? Siamo diverse, e siamo meglio degli uomini, come ritiene Luisa Muraro ( Non è da tutti, Carocci 2011)? Siamo uguali, se non altro siamo umane come gli altri umani, come dice Catharine MacKinnon ( Le donne sono umane?, Laterza, 2012)? Soprattutto: siamo come erano le nostre madri-nonne, e le nostre figlie-nipoti sono come noi, per cui funzionano le stesse teorie, e gli stessi programmi?

Il ripensamento dell’identità femminile (e maschile) è uno dei compiti primari della filosofia politica femminista. Però, proprio su questo punto, la filosofia oggi è raramente ascoltata, e quel che è peggio fatica a trovare una vera convergenza. Sopravvive la vecchia ruggine che ha sempre percorso la storia del femminismo, tra differenzialismo (le donne sono diverse, e deve essere valorizzata la loro differenza) ed egualitarismo (le donne sono uguali, e deve essere difesa la loro uguaglianza). Sopravvive anche la disputa metodologica: c’è chi ritiene che il «pensiero femminile» da valorizzare e difendere sia pensiero contrario a ogni teoria generale, e forse a ogni teoria, e chi tenta una riconsiderazione fondamentale del problema, a partire da una prospettiva universalista.

Il libro di Nadia Fusini, Hannah e le altre (appena uscito da Einaudi) offre un modo ingegnoso per ripensare l’intera questione, forse proprio perché narra di tre autrici non femministe, ma che hanno evidenziato alla perfezione, come dice Fusini riprendendo Virginia Woolf, «the woman’s angle», il punto di vista femminile. Il libro racconta lo sfiorarsi dei destini di Hannah Arendt, Simone Weil e Rachel Bespaloff: unite non soltanto dal fatto di essere ebree, filosofe ed esuli a New York, ma anche da incontri fortuiti, strane coincidenze; e soprattutto: da un’affinità di pensiero che mette in luce le ragioni del loro essere donne in un modo diverso da come si suppone si debba essere donne.

Lo stile di Fusini, magistrale nelle biografie, consente di vedere all’istante il nucleo essenziale di ciascuna figura, restituendone il pensiero dominante con rapidi accenni concreti. Simone Weil viene sedotta alla teoria e alla pratica della vita difficile dalla fiaba che le racconta sua madre, nel dormiveglia di bambina febbricitante. Hannah Arendt, a cui manca il «tatto del cuore», come le rimproverano Scholem e il suo maestro Jaspers, ha nell’animo «socratico» «un’ironia pungente, che sconfina nell’arroganza». Meno nota la biografia di Bespaloff, musicista e filosofa, afflitta da incombenze famigliari che la imprigionano e la portano al suicidio. Fusini sottolinea la convergenza delle tre posizioni: nell’avversione per la violenza, nell’interesse per i greci e per il Cristianesimo. Tutte e tre sono dotate dell’«altro sguardo»: ma la peculiarità di questo sguardo non è legata a oscuri fattori biologici, e neppure a un «femminile» benevolo e antiviolento. È piuttosto lo sguardo di chi è «senza potere», ed è tanto più evidente in tre personaggi così tipicamente deraciné, sradicati, e capaci di tradurre lo sradicamento in teoria.

Ecco dunque il punto cruciale: le tre autrici partono dall’umanità, dunque da una prospettiva «neutra», e senza genere; ma nelle loro voci si rivela all’istante «l’altro sguardo». La «differenza» affiora, inequivocabile, nel momento stesso in cui il discriminato inizi a parlare, e parli onestamente, a partire dal suo avvertirsi «straniero». Ma se dobbiamo tenere conto di questo, la risposta alla domanda «chi siamo? » cambia radicalmente. Essere donne significa anzitutto un modo particolare (migliore) di essere esseri umani: il modo di chi, uomo o donna che sia, non ama il potere. E in questo senso, come Von Druskowitz, non ama «il maschio».

Francesca e le altre…

francesca e giovanni
francesca e Giovanni

Non ho molto da aggiungere su tutto quello che ogni italiano onesto può pensare di giovanni falcone e su ogni uomo che per la lotta alla mafia ha perso la vita. Invece voglio pensare a Francesca, Francesca Morvillo una donna che ha che ha perso la vita per amore. eh sì che vivere in quelle condizioni, con la paura addosso, la scorta, la tensione, le immagini di morti ammazzati attorno a loro, deve essere stata dura. Francesca ha accettato di amare Giovanni in condizioni  disumane. Non era unica, no davvero, anche altre donne come lei hanno amato uomini che avevano dedicato al loro vita al servizio dello Stato. Cosa pensava Francesca? quanti dubbi e quanti tormenti? colei che ama un uomo che combatte la mafia, combatte anche contro se stessa, ne sono sicura. colei che ama un uomo che combatte la mafia deve accettare il fatto che quella lotta invade la sua vita, invade i pensieri stessi della coppia.  quella lotta, quel crederci lo deve condividere  assolutamente e non perché corre il rischio di rimanere vittima essa stessa, ma perché altrimenti non potrebbe sostenere il costo morale di una vita così. Francesca e le altre donne che hanno amato uomini che hanno combattuto la mafia rischiando e trovando la morte, sono sempre state donne sorridenti, con quel sorriso che serve a dare forza a sì stesse prima che a lui, sono state sempre state  donne serene, anche se con la paura accanto, sono sempre state determinate anche se conoscevano il mostro che avrebbe potuto porre fine alla loro felicità; sono state donne che da madri non hanno insegnato l’odio verso gli assassini del loro padre, ma a continuare a crederci.

Le voglio ricordare oggi, Francesca e le altre, le vorrei ringraziare per aver amato quegli uomini morti per migliorare la vita di tutti, morti per un senso di giustizia e legalità che  a troppi suscita ancora indifferenza se non anche fastidio, incomprensione.  Le vorrei ringraziare Francesca e le altre, perchè quegli uomini morti anche per me, li hanno amati anche a nome mio.

 

Sebastiano Zanolli e la scoperta della creatività a Nove

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con sebastiano… tra le ceramiche di Nove

A Nove, “terra della Ceramica”

Una serata a parlare di “creatività” insieme a ragazzi e ragazze che hanno partecipato ad un interessante progetto appunto sulla Creatività. Special guest Sebastiano Zanolli manager, scrittore, formatore, pensatore, comunicatore.

www.sebastianozanolli.com

seba
Immagine Sebastiano Zanolli

Molti spunti interessanti, riflessioni argute, considerazioni geniali.

questa secondo la frase chiave della serata, riportata da Sebastiano:

Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono”, da LA CHIAVE A STELLA di Primo Levi .

E’ una grande verità che non molti conoscono, nemmeno quelli che amano il proprio lavoro, invece è la chiave di tutto. In questi tempi così bui dove il lavoro è sinonimo di qualcosa che sempre si accompagna ad un’accezione negativa: il lavoro che non c’è, il lavoro precario, il lavoro nero, il lavoro non pagato, il lavoro raccomandato, il lavoro non più cercato, il lavoro umiliato,  illavoro ricattato…

e invece Seba stasera è riuscito a farlo diventare un sogno, il sogno di poter cercare, trovare e far diventare lavoro il talento, qualsiasi talento che c’è in ognuno di noi. Perché lui ne è convinto, ognuno ha dentro di sè un talento,” una speciale predisposizione innata per qualcosa.”

Io non so se i ragazzi e le ragazze premiati stasera per le loro opere d’arte, per le loro creazioni, pensano di aver trovato il loro talento, ma certamente questo evento ci convince che tutti nella vita meritano di trovare la loro strada o che comunque quella strada non bisogna mai smettere di cercarla.

Molto brava, la mia amica Valeria Ferraro che conosco per altre esperienze passate e condivise sul sociale, impegnata in questo evento come consigliere nel Comune di Nove.
Così anche il Sindaco di Nove, Manuele Bozzetto, che in questo progetto ci crede molto perché sa che ogni ragazzo o ragazza è una risorsa che fa bene alla comunità.
Questa serata nasce da un progetto “Impara l’arte” http://youtu.be/W2AjlKwXBjs .
http://www.comune.nove.vi.it/upload/bando_impara%20l’arte%20def.pdf‎

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volantino serata

alla Festa di MACONDO ci sarò anch’io

con stoppiglia
l’abbraccio di Giuseppe
macondo2013
macondo 2013

 

il 25 e 26 maggio torna la festa di Macondo a Bassano del Grappa

 
“Macondo è un’associazione che aggrega
attorno alla convinzione della possibilità di fratellanza,
di condivisione di un’uguaglianza fondamentale.
Del sogno che sia possibile una comunità
dove le diversità non contino
se non come opportunità e modi e forme
di un arricchimento per tutti.
In un arricchimento individuale che sia, allo stesso tempo,
ragione e risultato dell’arricchimento di tutti.
In cui il massimo della proiezione verso l’altro
coincida con il massimo dell’inabissamento dentro di sé.
In cui l’arricchimento della comunità
sia la sempre incompleta somma della ricchezza di ognuno.
In cui, insomma, l’arricchimento degli uni
non dipenda dall’impoverimento degli altri
Mario Bertin”

Nella parte veneta della mia vita, Macondo è stata una presenza importante.
Giuseppe Stoppiglia è il prete che in assoluto amo di più. L’ho amato da subito, da quando conoscendomi e abbracciandomi mi ha accolto nella sua amicizia come una bambina, della quale però ha subito conosciuto l’anima, le origini, lo spirito.
C’è chi, frequentandomi per molto tempo non ha mai colto la mia vera essenza. Stoppiglia è un uomo che guarda oltre lo sguardo e le parole, guarda oltre. Non credo che sia per i suoi anni in Brasile, per il suo immenso e ricco passato, per la sua considerazione personale della Chiesa, per le montagne alla cui ombra è cresciuto, per tutte le donne, preziose maestre, della sua famiglia, per il suo amare l’umanità come ama se stesso, per una ricchezza interiore straordinaria ed una capacità di accogliere nei suoi occhi blu ogni fratello o sorella.
La festa di Macondo è la sua espressione, la festa, l’incontro, l’abbraccio, l’ascolto, il guardarsi negli occhi, la riflessione profonda e condivisa.
la festa di Macondo è un abbraccio sorridente che dura due giorni e ti sembra sempre che finisca troppo presto.
la festa di Macondo è la mia casa sociale, quella dove incontro volti e sguardi di persone con le quali sono certa di condividere il sogno di un mondo migliore.
e Macondo è entrata nella mia casa, quella vera, reale facendomi accogliere ospiti sconosciuti che venivano da luoghi distanti e ogni volta non sapevo chi avrei accolto, ma ogni volta sono entrate in casa delle persone sconosciute e sono usciti degli amici.

anche quest’anno a Macondo ci sarò anch’io, non posso proprio mancare.

dai miei libri.. “uno sguardo così”

Come gli manca uno sguardo così. Se non lo conosci vivacchi e non ti manca. Ma se una stronza ti ha posato addosso quelle ali lì, ti ha fatto sentire l’eroe di una sceneggiatura temeraria, rimani tutta la vita un mendicante che va in giro a cercare quelle palpebre che si aprono solo per guardarti e si chiudono per imprigionarti.

Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo.

Rainbow tour

con la compagna Zoubida Ghezali, Coordinatrice Circolo SEL FELTRE
con la compagna Zoubida Ghezali, Coordinatrice Circolo SEL FELTRE
con Giuseppe Tondelli Responsabile Circolo Tondelii LGBTI e Zoubida Ghezali Coordinatrice Circolo SEL FELTRE
con Giuseppe Tondelli Responsabile Circolo Tondelii LGBTI
e Zoubida Ghezali Coordinatrice Circolo SEL FELTRE
nel cuore tra i colori della bandiera della pace realizzate dalle ragazze di Belluno,
nel cuore tra i colori della bandiera della pace realizzate dalle ragazze di Belluno,

gazebo Belluno  NO OMOFOBIA. GIORNATA MONDIALE CONTRO L'OMOFOBIA
gazebo Belluno
NO OMOFOBIA. GIORNATA MONDIALE CONTRO L’OMOFOBIA

con Michela Tonus, responsabile Arcilesbica Treviso
con Michela Tonus, responsabile Arcilesbica Treviso

Ho partecipato al Rainbow tour Bassano del Grappa, Feltre, Belluno per dire NO ALL’OMOFOBIA.
che poi è stata una bella giornata nella quale ho conosciuto persone, uomini, donne che volevano comunicare al mondo che ognuno è libero di amare chi vuole, ognuno è libero di vivere i propri sentimenti senza dover essere deriso, oltraggiato, violato nella sua dignità, offeso. Non so quante delle persone che ho incontrato oggi fossero lesbiche o omosessuali, per me non fa nessuna differenza, erano uomini ed erano donne, avevano sì qualcosa di diverso, qualcosa in più di tanti altri, avevano una sensibilità.
Qualcuna mi ha chiesto se fossi sicura di volere una foto assieme da pubblicare sul social network, perchè mi ha detto, riceviamo anche tanti insulti. Allucinante ho pensato, certo che volevo una foto con loro, voglio sempre una foto che mi ricordi nel tempo tutte le persone speciali che mi passano accanto nella vita. Non so se rivedrò ancora quelle persone, ma certamente conservo un bel ricordo della giornata di oggi.
Cmq non ho voglia di fare della retorica, ma davvero due cose mi dispiacciono, che per testimoniare un principio di umanità bisogna ancora andare in piazza. E un’immagine mi ha colpito: tre ragazzi giovani, tre bravi-ragazzi che quando ho tentato di passare loro il foglietto informativo sull’evento, prima hanno gettato un’occhiata, quando hanno capito di cosa si trattava, me lo hanno restituito …disgustati. E quelli sono un tipo di uomini di domani.
Ma quando nascerà una società migliore di questa? Non la migliore in assoluto, solo …migliore di questa!

dignità sociale… di un uomo, di una donna, di un bambino

così ho scritto su fb stamattina…

“Difendere due bambini che giocano in sala d’attesa mentre aspettano il treno con la loro mamma vestita di nero, col velo nero e dai tratti orientali, da una anziana signora ben vestita e ben razzista che li fa smettere di giocare apostrofandoli ckn astio. lL’anziana signora se l’é cavata con un mio duro e breve intervento, dovevo salire in treno. La giovane donna ringraziandomi di aver difeso i suoi bambini, m’ha detto:quando vedono il velo molti si comportano così. Certe volte mi vergogno di essere italiana”

Ma voglio aggiungere che all’elegante e razzista signora, come direbbero a Roma, ja detto proprio male!
povera donna (si fa per dire), si è trovata davanti una signora diciamo altrettanto benvestita anche lei e italiana come lei, ma che nascondeva sotto il trench color sabbia, una terrona catto-comunista e mamma, un micidiale composto di donna, sicché è rimasta alquanto anche stupita che la signora italiana si alzasse per difendere la donna vestita di nero.

L’epilogo più bello è stato vedere, quando sono scesa dal treno, i due bei bambini dagli occhi neri, che mi stavano salutando dal finestrino.

Stefano Rodotà, sabato scorso a pochi metri metri da me, sul palco di SEL, ha detto che l’Italia sta dimenticando un diritto fondamentale, il diritto alla dignità sociale di ogni uomo, donna o bambino. Non lo dimentico, mai!

Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Zygmunt Bauman

 Amore-liquido
articolo di Cinzia Crinò.

Zygmunt Bauman è considerato il più grandesociologo contemporaneo. Il suo successo, probabilmente, deriva da una metafora con cui egli ha fotografato la società attuale: quella della liquidità. Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili. È diventato tutto più fluido, liquido appunto.

Il settore in cui è più evidente questa trasformazione è quello lavorativo: «In un’epoca in cui […] i luoghi di lavoro scompaiono con poco o punto preavviso e il corso della vita è suddiviso in una serie di progetti una tantum sempre più a breve termine, le prospettive di vita appaiono sempre più […] accidentali.»

Ma la liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo è il tema centrale del suo saggio Amore liquido. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi, ovvero l’abitante della società liquido-moderna.

Mentre fino a poco tempo fa le relazioni a lungo termine erano considerate “istinti naturali”, oggi vengono percepite come oppressive: «L’impegno verso un’altra persona […] in particolare un impegno incondizionato e di certo un tipo di impegno “finché morte non ci separi”, nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, assomiglia sempre più a una trappola da scansare a ogni costo.»

Amorel iquido. Sulla fragilità dei legami affettiviFacciamo un passo indietro. Cos’è l’amore? Bauman sostiene che l’amore sia un evento molto simile alla morte. «Non si può imparare ad amare; così come non si può imparare a morire. Né si può imparare l’arte […] di non rimanerne impigliati e tenersene alla larga. A tempo debito, l’amore e la morte colpiranno; solo che non abbiamo la benché minima idea di quando tale ora scoccherà. In qualsiasi momento giunga, ti coglierà impreparato. Amore e morte sbucheranno dalle tue preoccupazioni quotidiane ab nihilo, dal nulla.»

Sia la morte che l’amore colpiscono all’improvviso e colgono il malcapitato alla sprovvista. Le riviste sono piene di pagine dedicate alla “posta del cuore”, nelle quali l’esperto di turno consiglia a chi ha problemi sentimentali come comportarsi. Ma, secondo il sociologo, in amore non si impara dalle esperienze precedenti. Si può apprendere come svolgere un’attività solo quando ci sono una serie di regole fisse e uno scenario stabile, e di certo non è questo il caso. Amare significa abbandonarsi a un futuro misterioso.

L’amore è il regno dell’incertezza e di conseguenza gli uomini si trovano a vivere una situazione paradossale. Da una parte tendono a cercare in una relazione quel conforto che li faccia allontanare dal fastidioso senso di fragilità che avvertono quando sono soli. Ma una volta in coppia, l’uomo non arriva all’appagamento emotivo che sperava, tutt’altro: «“Avere una relazione” significa un mucchio di grattacapi, ma soprattutto vivere nella perpetua incertezza. Non potrai mai essere realmente, pienamente sicuro di cosa fare, né certo di aver fatto la cosa giusta o di averla fatta al momento giusto.»

Questo senso di insicurezza cronico deriva anche dal fatto che, nonostante i propri sentimenti possano essere molto forti e indubbi, non si può impedire al partner di mettere fine alla relazione nel momento in cui lo ritenga opportuno. «Le promesse di fedeltà alla relazione, una volta che questa è stata stabilita, sono “insignificanti nel lungo termine”. E come potrebbe essere altrimenti: le relazioni sono investimenti come tutti gli altri, ma ti verrebbe mai in mente di pronunciare un giuramento di fedeltà alle azioni che hai appena acquistato?»

Date queste premesse, l’uomo di oggi preferisce non rischiare troppo e tende a instaurare nuovi tipi di relazioni, meno impegnative e senza promesse: la convivenza, le relazioni virtuali, le coppie aperte.

Queste nuove forme sentimentali sono facili da creare e altrettanto facili da interrompere qualora si dovesse presentare un nuovo oggetto del desiderio. In altre parole, la filosofia che sta alla base dei moderni “legami” è quella del consumismo: usa e getta. I partner sono come i beni di consumo: quando vediamo nelle vetrine dei negozi un oggetto nuovo, che vanta mille qualità, non esitiamo a sostituirlo con quelli che abbiamo comprato in precedenza. Allo stesso modo, anche in amore apriamo la porta a nuove esperienze che potrebbero essere «più soddisfacenti e appaganti.»

Amore liquido è un testo molto interessante, che costringe il lettore a guardare in faccia la realtà, che gli piaccia o no. È un libro che va letto con calma, sorseggiato, in quanto denso di riflessioni con cui confrontarsi.

Le tesi di Bauman sono state tacciate di pessimismo; io definirei il suo approccio un realismo graffiante. È vero, lui stesso afferma che la società in cui ci troviamo a vivere non è delle migliori, ma chiude le sue considerazioni con una speranza: «La nostra consolazione […] è il fatto che “la storia esiste ancora e la si può ancora fare”.»

Titolo: Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi
Autore: Zygmunt Bauman
Anno di pubblicazione: 2006
Casa editrice: Laterza

PARLAMI D’AMORE Zygmunt Bauman: “Le emozioni passano i sentimenti vanno coltivati” articolo di Raffaella De Santis

Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto di lavoro. Il grande sociologo spiega come i legami siano stati sostituiti dalle “connessioni”. E aggiunge: “Ogni relazione rimane unica: non si può imparare a voler bene”. Disconnettersi è solo un gioco. Farsi amici offline richiede impegno

Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo era possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista. Zygmunt Bauman sull’argomento è tornato più volte (lo fa anche nel suo ultimo libro Cose che abbiamo in comune, pubblicato da Laterza). I suoi lavori sono ricchi di considerazioni sul modo di vivere le relazioni: oggi siamo esposti a mille tentazioni e rimanere fedeli certo non è più scontato, ma diventa una maniera per sottrarre almeno i sentimenti al dissipamento rapido del consumo. Amore liquido, uscito nel 2003, partiva proprio da qui, dalla nostra lacerazione tra la voglia di provare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico.

Cos’è che ci spinge a cercare sempre nuove storie?

“Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L’amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame”.

Dunque siamo condannati a vivere relazioni brevi o all’infedeltà…

“Nessuno è “condannato”. Di fronte a diverse possibilità sta a noi scegliere. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio”.

Oggi viviamo più relazioni nell’arco di una vita. Siamo più liberi o solo più impauriti?

“Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano”.

Abbiamo finito per trasformare i sentimenti in merci. Come possiamo ridare all’altro la sua unicità?

“Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l’opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L’amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l’amore. Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana”.

Forse accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell’amore, come se la “quantità” ci rendesse immuni dell’esclusività dolorosa dei rapporti.

“È così. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l’illusione di avere tante “seconde scelte”, che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all’altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere. “L’amore esclusivo” non è quasi mai esente da dolori e problemi  –  ma la gioia è nello sforzo comune per superarli”.

In un mondo pieno di tentazioni, possiamo resistere? E perché?

“È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della “tentazione della tentazione”. È lo stato dell'”essere tentati” ciò che in realtà desideriamo, non l’oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un’apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è un’imboscata nella quale tendiamo a cadere gioiosamente e volontariamente”.

Lei però scrive: “Nessuno può sperimentare due volte lo stesso amore e la stessa morte “. Ci si innamora una sola volta nella vita?

“Non esiste una regola. Il punto è che ogni singolo amore, come ogni morte, è unico. Per questa ragione, nessuno può “imparare ad amare”, come nessuno può “imparare a morire”. Benché molti di noi sognino di farlo e non manca chi provi a insegnarlo a pagamento “.

Nel ’68 si diceva: “Vogliamo tutto e subito”. Il nostro desiderio di appagamento immediato è anche figlio di quella stagione?

“Il 1968 potrebbe essere stato un punto d’inizio, ma la nostra dedizione alla gratificazione istantanea e senza legami è il prodotto del mercato, che ha saputo capitalizzare la nostra attitudine a vivere il presente”.

I “legami umani” in un mondo che consuma tutto sono un intralcio?

“Sono stati sostituiti dalle “connessioni”. Mentre i legami richiedono impegno, “connettere” e “disconnettere” è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza”.

mesciu Mimmi

mesciu Mimmi era mio padre,

è morto due anni fa il 13 maggio, è morto di una malattia infame che a poco a poco gli ha tolto tutto. Prima il sorriso, poi l’allegria, poi la voglia di vivere. Poi l’identità, i suoi bellissimi baffi neri, infine ogni movimento, …solo lo sguardo gli era rimasto, ma non più la parola.

Oggi voglio ricordare la sua risata piena e contagiosa, le sue nuotate al mare, la sua sartoria nella piazza del paese, la sua Smorfia nel cassetto, la sua grande forbice da maestro sarto che mi sembrava enorme, lucente, la sigaretta sempre accesa, il santino della madonna e di tutti i santi, il voto comunista, il ballo,  il lasciarci dormire fino all’ultimo momento a noi figli le mattine d’inverno, il gusto della buona tavola, l’amore per mia madre, l’amore per i suoi figli. le sue foto da giovanotto con Domenico Modugno a San Pietro Vernotico, la sua Lambretta bianca, una rarità nel paese per quei tempi,

e poi l’ictus  a 46 anni, che ha segnato tutta la vita e il futuro della mia famiglia, perché mio padre era il capofamiglia,  mio padre era il perno, la colonna sulla quale tutto poggiava, mio padre era un uomo moderno nei suoi sogni, ma all’antica nei suoi princìpi,

mio padre era un uomo meraviglioso.

ciao papà Mimmi.

me-baby

 

 

#La-cosa-giusta per SEL

la newsletter di nichi:

“L’11 maggio è la piazza di chi vuole adoperarsi per dare risposte a quelle forti domande di cambiamento fuoriuscite dalle urne e poi del tutto disattese e umiliate, è la piazza di chi pensa che un’uscita dalla crisi a sinistra sia possibile e che anche in Italia possa esistere un soggetto politico di sinistra capace di ricostruire un agire collettivo che abbia senso, che sia utile a modificare in positivo la vita di tante donne e di tanti uomini.

A ‘La cosa giusta’ prenderà la parola chi solitamente non trova spazio e cittadinanza nel mondo del lavoro quanto nella società – dai precari con partita iva ai migranti di seconda generazione – e chi è un volto noto, un faro della politica e della cultura del nostro Paese come Concita De Gregorio, Gad Lerner e Stefano Rodotà.
In un Paese impoverito e smarrito e con un centrosinistra fatto di macerie è fondamentale, ora più che mai, uscire dalle proprie case, dalle proprie stanze rassicuranti quanto insufficienti, e fare la propria parte in quello che è un processo di apprendimento, una ricerca in campo aperto per provare a costruire tutti insieme un Paese migliore.”

Le mie considerazioni.

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SEL è il mio partito, lo è assolutamente!
e allora non potevo mancare, sono riuscita a vivere la manifestazione da vicino, vicinissimo,
ho fatto le foto con tutti i miei compagni:

con gennaro migliore
con gennaro migliore
con marco furfaro
con marco furfaro
con massimo zedda e vania valoriani
con massimo zedda e vania valoriani
con nichi vendola
io e nichi
con nicola fratoianni
con nicola fratoianni
con ed testa
senatore
senatore SEL

il compagno Nichi Vendola, il compagno Ed Testa, il compagno Nicola Fratoianni, il compagno Marco Furfaro, il compagno Massimo Zedda, la compagna Vania Valoriani, il compagno Gennaro Migliore,

mi sono commossa per l’ovazione immensa e calorosa che ha accolto Stefano Rodotà, ho visto da vicino farsi i suoi occhi lucidi,  ho ascoltato le sue parole, quelle paroe che per noi di SEL sono miele.

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stefano rodotà

http://video.repubblica.it/politica/roma-la-piazza-di-sel-acclama-stefano-rodota/128077/126578

stefano rodotà
stefano rodotà
DISCORSO DI NICHI
discorso di nichi

E poi ho salutato la compagna Mariateresa Di Riso,  e Pape Daw,  e Maristella Urbano,  e Alessandro Zan col quale ho viaggiato e chiaccherato in pullman
li conosco tutti. mi piace ascoltarli, ognuno di loro sa rappresentare il mio pensiero,
e nel metrò ho incrociato il compagno Francesco Longanella del Collettivo 37 di Salerno, che mi ha guardato  e m’ha detto: ma io ti conosco, ti ho chiesto l’amicizia su fb,
e sul pullman i compagni Silvia Dalla Rosa, Filippo Artuso,  impegnati sinceramente nelle amministrative di Vicenza e gli altri di Rovigo, Padova, Vicenza
ma quanti eravamo? tanti, tantissimi,  e quante bandiere…
con ognuno di loro sento di condividere un cammino, sento di condividere la fiducia in un partito, che fra mille difficoltà, senza adeguati mezzi economici, in un terreno minato che aspetta solo di farci saltare,  riesce ad andare avanti
ma siamo qui noi di SEL, siamo ancora qui!
la nostra meta è sempre nitida, è sempre quella, non cambiamo direzione per posizionarci, per un punto in più nei sondaggi, per un’apparizione in più; non cambiamo il senso di marcia, non cambiamo la nostra comunicazione, non cambiamo la lingua che usiamo per parlare,.
Noi parliamo italiano, corretto, ricerchiamo il termine giusto perché ogni parola ha un suo significato; non usiamo insultare, bestemmiare, cadere nello scurrile… non ci appartiene; non ne abbiamo la necessità perchè abbiamo molto da dire usando la nostra bellissima lingua.
Era La-cosa-giusta da fare: ritrovarci, sventolare le bandiere, continuare la narrazione;
Era La-cosa-giusta da fare capire il punto in cui siamo, chiarire il momento storico, fare luce sugli attori protagonisti e non protagonisti,
Era fondamentale chiarire, dire che noi gli impegni presi li abbiamo portati avanti, li abbiamo presi con convinzione, siamo stati traditi, tutti,  da uno scellerato patto col diavolo, un altro indifendibile errore che il Centro-Sinistra pagherà caro, perché si sta aggiungendo caos al caos, macerie sulle macerie, non è e non sarà una soddisfazione veder fallire miseramente questo patetico matrimonio di convenienza.
Io sto con SEL sempre, perchè non mi ha mai deluso, perché ho capito anche il travaglio interiore di Nichi per ogni passo compiuto, la delicatezza e la profondità con la quale ha ponderato ogni scelta, la responsabilità che noi gli abbiamo dato per condurre avanti questa partita, i sogni che abbiamo depositato in questo partito.
Poi c’è la coerenza, c’è la tenacia, c’è la convinzione e sopratutto c’è l’ amore totale per un bellissimo Paese vilipeso, violato, sporcato, ridicolizzato.
Quest’Italia agonizzante che aspetta invano ormai una guida verso la salvezza.
Ci siamo liberati da tutte le dominazioni passate per poi cadere nella bassezza umana del presente; abbiamo viaggiato per il mondo ma poi abbiamo chiuso la porta ai viaggiatori per necessità; abbiamo creato la bellezza e poi l’abbiamo insozzata, abbiamo dipinto la donna come una Madonna, come un Dea, come una Madre e poi abbiamo lasciato che fosse uccisa quando ha osato avere un pensiero di libertà; siamo stati culla della cultura e siamo diventati ignoranti; abbiamo inventato arti e mestieri e poi abbiamo trasformato il lavoro in una merce in nero.
Noi di SEL ci siamo, siamo solo noi come dice la canzone, ma ci siamo ed era La-cosa-giusta ritrovarci.
Quando sono scesa dal pullman, l’autista (leghista, me lo aveva detto) mi ha detto: “ma voi  allora,vi chiamate davvero sempre compagni? perchè i compagni per me sono quelli dei bambini, i compagni di banco”. gli ho detto “i bambini sono compagni perchè camminano assieme in compagnia nella vita scolastica, noi siamo compagni perché camminiamo assieme in compagnia nella società” Non so se lui ha capito quello che intendevo dire, ma io ho abbracciato i miei compagni e sono tornata a casa. Avevo fatto La-cosa-giusta.

E ZORRO
zorro
ignazio marino a SEL
ignazio marino
concita de gregorio
concita de gregorio

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cameramen gentile

satira

con gad lerner
con gad lerner

Lo “ius soli” è…

Lo “ius soli” è un ingrediente essenziale per definire che cosa debba essere oggi la cittadinanza. I diritti che nascono sulla base del legame con il sangue e con la stirpe appartengono a una cultura di derivazione fascista. Cittadini si diventa, in qualunque paese civile del mondo, nascendo in quella determinata terra.

Ripartire dal diritto di cittadinanza per tutti i nati in Italia è una necessaria, doverosa, indispensabile riparazione.
Nichi Vendola

all by myself

When I was young
I never needed anyone
And making love was just for fun
Those days are gone
Livin’ alone
I think of all the friends I’ve known
When I dial the telephone
Nobody’s home

All by myself
Don’t wanna be
All by myself
Anymore

Hard to be sure
Sometimes I feel so insecure
And loves so distant and obscure
Remains the cure

All by myself
Don’t wanna be
All by myself
Anymore
All by myself
Don’t wanna live
All by myself
Anymore

When I was young
I never needed anyone
Making love was just for fun
Those days are gone

All by myself
Don’t wanna be
All by myself
Anymore
All by myself
Don’t wanna live
Oh
Don’t wanna live
By myself, by myself
Anymore
By myself
Anymore
Oh
All by myself
Don’t wanna live
I never, never, never
Needed anyone

ferite a morte firmate anche voi l’appello

contro la violenza sulle donne

Il Sindacato di Polizia ha aderito al nostro appello

“Come poliziotti condividiamo in pieno l’appello al Governo e al Parlamento di ‘Ferite a morte’”. Così Nicola Tanzi, a nome del Sindacato Autonomo di Polizia di cui è segretario generale.
Il SAP ha aderito al nostro appello e ci racconta perché. “Da sempre siamo impegnati per contrastare qualsiasi tipo di violenza ed in particolare quelle di genere e lo stalking, che sono in costante e preoccupante aumento. La Polizia è il primo Corpo dello Stato ad annoverare personale femminile, addirittura già dal 1959 con il Corpo di Polizia femminile. Oggi le poliziotte operano nelle Questure e nelle Specialità come ‘front office’ nei confronti delle tante donne che con coraggio denunciano reati e soprusi di ogni tipo, dimostrando straordinaria professionalità e sensibilità. Combattiamo insieme questa battaglia contro il femminicidio per un’Italia più giusta!”.

Il manifesto

Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti non è affatto casuale.
Ormai si parla di femminicidio, ovvero un omicidio di massa del genere femminile: “violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna, in quanto donna” (Russel, 1976). E’ un fenomeno spaventoso che riguarda milioni di donne in tutto il mondo, un fenomeno spesso taciuto, o peggio scambiato per generico fatto di cronaca, ma stiamo parlando solo della punta dell’iceberg di una più̀ diffusa cultura di violenza contro le donne. Queste morti “annunciate”, invece, vengono spesso etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di famiglia.

Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini conosciuti, membri della famiglia, “amici”, compagni “ fidati”, proprio quelli che dovrebbero far parte della cerchia della loro intimità e sicurezza.

Il dato in Italia è impietoso: muore di violenza maschile (femminicidio) una donna ogni due /tre giorni(!).
E purtroppo nel nostro Paese, mentre parliamo della possibilità di quote rosa in politica, lo Stato ancora non difende come dovrebbe le donne sotto ricatto, molestate, sottoposte a continue minacce, violenze e fisiche e psicologiche dentro e fuori la famiglia, situazioni che, come sa chi lavora in questo campo, sono spesso l’anticamera dei delitti.
I centri-antiviolenza, le reti antiviolenza locali dei servizi si prodigano con passione, ma sono pochi e hanno finanziamenti a goccia dagli enti locali e dallo stato, un rubinetto più chiuso che aperto che non permette mai una seria programmazione sul territorio. Le leggi ci sarebbero ma non sono applicate.

Siamo tutte/i immersi in una cultura che non considera così importante la prevaricazione di un uomo su una donna in quanto basata sustereotipi di genere che condizionano le relazioni nella nostra società. Non esiste nelle scuole un’educazione ai sentimenti, agli affetti, alle relazioni, che aiuti gli adolescenti al rispetto di genere.
Manca ancora un monitoraggio nazionale che metta insieme i dati delle varie associazioni con gli sforzi dei volontari fai-da-te e con quelli delle istituzioni che a diverso titolo hanno a che fare con la violenza contro le donne: quando non si conosce un fenomeno o addirittura lo si disconosce è impossibile affrontarlo.

L’unica luce intermittente ci arriva dalle indagini dell’Istat sulla “Violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori dalla famiglia”, indagini che purtroppo sono episodiche e forniscono solo una stima – seppure scientifica e attendibile – basata su un campione rappresentativo della popolazione.

Bisogna unire gli sforzi, creare una rete così fitta che permetta alle donne di prevenire e combattere questa violenza.
La convenzione NO More! per esempio, frutto del lavoro di diverse associazioni unite per affrontare l’emergenza, indica il percorso che è necessario intraprendere per “richiamare le istituzioni alla loro responsabilità̀ e agli atti dovuti, per ricordare che tra le priorità dell’agenda politica, la protezione della vita e della libertà delle donne non può essere dimenticata e disattesa”.

Il nostro piccolo lavoro teatrale vuol essere uno stimolo, un pugno nello stomaco, un’occasione di riflessione, un tentativo di coinvolgere con una tournée nazionale l’opinione pubblica, i media e le istituzioni, creando nei vari luoghi occasioni di dibattito e discussione.

La drammaturgia è sempre servita ad attirare l’attenzione e a catalizzare le forze, ci piacerebbe tentare e lanciare il cuore oltre l’ostacolo.
In questo cammino noi speriamo, anzi siamo sicure che gli uomini saranno con noi, perché solo insieme potremmo sanare questa ferita.

I tre eventi teatrali sono realizzati in tre luoghi emblematici dell’Italia, a significare il carattere nazionale e trasversale del fenomeno della violenza, ed hanno l’obiettivo di sostenere:

  • la Convenzione No More!
  • la rete dei centri Dire
  • i centri antiviolenza e le associazioni presenti nei territori

Serena Dandini
(in collaborazione con Maura Misiti)

Status quo

L’Italia è sempre meno un paese per donne. Siamo precipitati all’ottantesimo posto nella classifica mondiale stilata dall’ultimo rapporto 2012 Global Gender Gap del World Economic Forum (24 ottobre 2012). L’Italia è tornata ai livelli di cinque anni fa nelle statistiche mondiali sulle pari opportunità tra donne e uomini. In questo già grave contesto, il fenomeno della violenza contro le donne italiane e straniere è un elemento di ulteriore inquietudine. Qualche dato dalle indagini Istat ci consente di quantificarne le dimensioni, e solo di immaginare la sofferenza che ne deriva:

l’Indagine sulle molestie sessuali del 2008-09 rivela che circa la metà delle donne in età 14-65 anni (10 milioni 485 mila, 51,8 %) hanno subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato. Quella del 2006 sulla violenza dentro e fuori la famiglia, stima che 6 milioni 743 mila donne dai 16 ai 70 anni sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Cinque milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%). Circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Il 14,3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner. Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner.

Il sintomo più clamoroso del fenomeno della violenza contro le donne sono i femminicidi, di cui in Italia non si hanno dati ufficiali, ma che sono da anni osservati dalla Casa delle donne di Bologna, sono numeri sicuramente sottostimati, che rivelano una escalation di violenza che conta 877 donne uccise dal 2005 ad ottobre 2012. La risposta alle donne che chiedono aiuto è presidiata e gestita con abnegazione sul territorio dai centri antiviolenza. Nel 2011 le donne in situazione di violenza intra ed extra familiare che si sono rivolte centri antiviolenza sono state 13.137 (dati dell’associazione nazionale D.i.Re, 2011). Di queste, quelle che si sono rivolte ad un centro antiviolenza per la prima volta rappresentano quasi il 70%, questo dato conferma la diffusione del fenomeno della violenza sulle donne e la necessità della presenza sul territorio di luoghi preposti a sostegno delle donne.

Il contesto europeo e internazionale sollecita da tempo gli stati membri e l’Italia in particolare ad adottare e ratificare le raccomandazioni prodotte in tema di violenza contro le donne, in particolare:

  • la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica)
  • le raccomandazioni conclusive rivolte all’Italia dal Comitato CEDAW del 2011 e dalla Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne del 2012. In quest’ultima è stato richiesto a vari Stati, tra cui Messico e Italia (unico Paese europeo, nel 2011), di adottare misure specifiche per il contrasto al femminicidio.

RINASCE LA SINISTRA

sel nazionale

(RI)NASCE LA SINISTRA
l’appuntamento a Roma l’11 maggio è importante e significativo.
questa Sinistra che vegeta, che stenta a vivere, che come una pianta senz’acqua si affloscia su sè stessa,
ha bisogno di rinascere, ha bisogno di nuova linfa. La linfa siamo noi, siamo gli uomini e le donne che ancora ci credono, che ci hanno sempre creduto anche quando si sono sentiti gli ultimi dei mohicani.
Questa Sinistra deve ssolutamente rinascere, perché è l’unica possibile, l’unica speranza che ancora rimane di poter credere che la lotta per la giustizia sociale abbia un senso.
io sono convinta che Nichi abbia uno sguardo molto lungo, ampio sul futuro di quest’Italia, di quest’Europa. Se si smettesse di fare i conti con le diatribe quotidiane, forse sarebbe chiaro che la vera speranza sta nel futuro, non in questo mediocre presente.
Sono curiosa di ascoltare Nichi, sono curiosa di vedere chi aderirà all’invito, chi avrà il coraggio di stare dall’unica parte possibile, di avere la determinazione che ha sempre avuto SEL di rimanere fedele ai propri impegni, ai propri programmi, al proprio manifesto.
E spero di ritrovare quei compagni che si sono lasciati incantare dalle sirene di Ulisse, da qualcosa che sembrava avere il profumo di Sinistra, da qualcosa che echeggiava alla rivoluzione, da qualcosa che urlava ad una giustizia sociale, da qualcuno che prometteva ma non troppo, ecco quei compagni e quelle compagne hanno avuto modo di valutare e adesso… partecipino a questa (ri)nascita.

Forum della Legalità

Forum della Legalità SOTTOSOPRA

Il Veneto incontra la Sicilia e la Campania.

Ieri a Tezze sul Brenta in provincia di Vicenza, ragazzi  di Scampia e ragazzi di Marsala, hanno presentato una mostra fotografica che racconta i loro luoghi, la loro terra, la loro vita.

Poi una tavola rotonda per parlare, spiegare se una legalità è ancora possibile, cercando di superare molti, troppi luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi.

Chiedersi se davvero la mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corono unità solo solo fenomeni del Sud Italia, se è qualcosa che riguarda noialtri terroni.

Ma il vero valore di quest’incontro è stata la relazione, la conoscenza, la curiosità e poi l’amicizia nata tra i ragazzi, tutti italiani,  veneti, siciliani, campani, ma quante differenze, differenze bellissime.

Così un momento speciale l’ho vissuto in serata; la musica, le canzoni che uniscono, canzoni napoletane, siciliane, venete e poi jovanotti, ligabue.. la musica non ha confini, la musica non ha appartenenze, così una ragazza veneta ad un certo punto dice ai nuovi amici di Scampia e Marsala: “io sono felice di avervi conosciuto, perché voi siete così belli e sorridenti, dice, io ho tutto, sono una ragazza fortunata, sono universitaria, la mia famiglia non ha problemi, vivo in un posto tranquillo, non mi manca nulla, anzi ho di più… ma voi siete così belli e sorridenti eppure vivete una vita dura, a contatto con cose che fanno paura.. ma siete così belli e fantastici.” ecco questa cosa mi ha colpito moltissimo, ho sentito che quell’esperienza li aveva arricchiti, ragazzi siciliani, campani, veneti si erano conosciuti, si erano piaciuti, avevano superato gli stereotipi, avevano abbattuto il muro dell’ignoranza…

C’era un Siciliano con la S maiuscola, Salvatore Inguì, la sua vita, il suo lavoro, il suo impegno con Libera ha un valore grande in una terra dove combattere in prima persona per una cultura della legalità ha un peso che può essere sopportato solo se si ama la propria terra in maniera incondizionata, totale. Salvatore Inguì ama la Sicilia in questa maniera e cerca ogni giorno di averne cura, infondendo fiducia a tutti quei ragazzi e ragazze che lo adorano perchè sanno che lui crede in loro.

Ho conosciuto Vittorio Villa, uomo del Nord, con la sua Associazione Il SOLE ONLUS a Saronno, collabora con Salvatore a Marsala, con Casa Arcobaleno a Scampia. Mi ha detto, sai io faccio molto poco per loro, un piccolo contributo, quello che posso con l’Associazione… invece lui fa molto, moltissimo per loro, perché è al loro fianco, perché non li lascia soli, perché la loro fatica restare puliti e belli Vittorio la capisce benissimo, anche Vittorio, secondo me, ha superato gli stereotipi, i luoghi comuni, anche lui ha abbattuto tutti i muri e ha lasciato parlare il suo cuore.

Gianpaolo Bastianon, veneto purosangue, basta il cognome, conosciuto ad un ciclo di incontri sulla Comunicazione Politica a Venezia e poi per caso scopro la sua associazione LE GIARE, il suo impegno  sociale costante,  portato avanti con la sua bellissima famiglia, i legami con Scampia, con Marsala e questo FORUM SULLA LEGALITA’. Bravo Gianpaolo, davvero. Per tutto quello che fai.

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negra, nera… o semplicemente Cecìle?

oggi ho visto un film sulla segregazione razziale in America, tipo  cavalli, carrozze, … sporca negra , incappucciati, fuoco. allucinante, brutta pagina del passato.

poi uno sguardo al computer e leggo le polemiche, le offese al nostro primo ministro donna di origine congolese,

che sconforto questa mia Italia, bigotta, acida, razzista, ignorante, va bene un ministro donna di origine mignottese, ignorante come una capra e infarcita di botulino con labbra piccole e grandi usate a dismisura, ma infastidisce una donna di origine congolese,

mi infastidisce persino che si cerchi dare una spiegazione a queste umilianti espressioni di ignoranza e razzismo, che spiegazione vogliamo trovare? certe parole, certe frasi, certi pensieri spiegano perfettamente chi le pronuncia,

che poi sia un cretino sul web, piuttosto che un politico con la cravatta verde-vomito poco importa, si tratta sempre di esseri miseri e miserabili.

a me Cecìle piace molto, mi piace la sua storia, mi piace la sua vita prima di essere ministro, una vita di una donna, vera, autentica, colta, con un lavoro bellissimo, impegnata veramente nel sociale. cavolo se mi piace.

e sono contenta che lei abbia deciso di ricambiare questo Paese che è diventato la sua Patria, dedicando la sua vita alla politica, dedicarsi alla politica italiana poi che ultimamente è una scelta che equivale ad una perdita di dignità pressochè totale.

cmq mi piace Cecìle Kyenge, mi piace il suono del suo nome,

brava Cecìle, resta lì dove sei, non ti muovere!

non smetterò mai di boicottare…

non smetterò mai di boicottare

non mi allegerisce la coscienza, non mi fa sentire meno in colpa, ma so che funziona, so che è l’unico modo per dire no alle ingiustizie sociali

non me ne frega niente delle dure leggi del mercato, non me ne frega niente del mercato globale

io non voglio indossare una maglia fatta da una donna come me, ridotta in schiavitù,

io non voglio veder giocare mio figlio con un pallone cucito a mano da un bambino della sua età

io non voglio far pagare ad altri miei simili, la sfortuna di essere nati nell’angolo di mondo sbagliato

lo so non è facile, molti anni fa per scelta di coppia ho iniziato a boicottare la nestlè, poi la la nike, poi l’artsana,  ho nella dispensa un librettino con tutti i marchi acquistati dalla nestlè (praticamente tutti),

il boicottaggio funziona, molte multinazionali hanno dovuto migliorare le loro politiche aziendali,

adesso, oggi è  molto più difficile, non è made in italy neanche quello che ha la targhetta made in italy, noi poveri dementi consumatori siamo continuamente ingannati, i sotterfugi per nascondere quelle manine lontane che hanno lavorato le cose che acquistiamo sono tanti, innumerevoli anche legali,

ma non posso chiudere gli occhi, per quello che posso,  cercando col lanternino, quando faccio un acquisto cerco il made in italy

meglio una sola maglia realizzata in italia, che tre/cinque cucite in bangladesh!

io quest’immagine me la voglio ricordare ogni volta che vedo made in … ovunque ma non in Italia.

poi però non dimentico che neanche in Italia il lavoro di alcune operaie tessili non è dignitoso. ma nel grado di schiavitù, noi possiamo ancora salvarci, migliorare.

madeinbangladesh

il primomaggio di “quelle come me”

altalenando nella mia vita

Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l’Anima,
perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.
Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,
pur correndo il rischio di cadere a loro volta.
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.
Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,
tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.
Quelle come me quando amano, amano per sempre.
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.
Quelle come me inseguono un sogno
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero.
Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.
Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime.
Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,
non riceveranno altro che briciole.
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza.
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero.
Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…
ALDA MERINI

questo PrimoMaggio lo dedico a quelle come me, quelle donne che sono proprio come me; donne un pò complicate, sempre a tirare il saldo di ogni scelta, di ogni pagina di vita, aspettando qualcosa che deve ancora arrivare, convinte che il meglio deve ancora venire, conservando tutte le foto anche quelle venute male, perché in ogni istante rimane un pezzo di vita, quelle donne che sanno subito cosa vogliono, ma fanno il giro largo prima di dire lo prendo, ma mentre fanno il giro largo sanno che il resto della merce non interesserà neanche un po’.                                                                                      quelle che pensano di far parte di una generazione diversa e poi scoprono che la nonna era più avanti……  quelle che non basterebbe una vita per realizzare tutti i sogni, ma poi l’unica vita a disposizione sfugge dalle loro mani; quelle che ogni libro, ogni film, ogni canzone sta parlando di loro, quelle come me, …perché so di non essere l’unica ad essere così.

non ho parlato di lavoro, è vero, ma vivere la quotidianità è un lavoro faticoso, e non si è neanche pagate!

della Puglia e del mio mare

Domani torno in Puglia

Torno, non vado, perchè un viaggio in Puglia è sempre un ritorno verso me stessa, da quando ero bambina e per la prima volta sono andata via dalla Puglia, ogni ritorno è sempre stato diverso, ogni ritorno ha scandito eventi, momenti, stati d’animo.

Anche questa volta torna un’altra Beatrice, un’altra me, simile a quella originaria ma con uno zaino in più o una zavorra o un arricchimento…. non so.

Di sicuro vado a parlare col mare, in silenzio, …anzi vado a sentirlo.

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La Formichina è andata via.

La Formichina è andata via,

ha preso il suo fagottino di ricordi ed è andata via,

non le piaceva più di stare da sola, una formichina sola non è felice, senza le altre formichine smette di essere formichina anche lei.

Così nella vita tutto cambia e quando il cambiamento arriva non si può far nulla, neanche rimanere fermi.

Però La Formichina ha vissuto dieci bellissimi anni, belli, le riunioni-cene interminabili a casa mia, i banchetti divertenti, gli amici di Salvador di Bahia e i piccoli amici di Scampia, i fasciatoi e i marsupi cuciti a mano, le attività, le feste in maschera, i centri estivi, i laboratori a scuola… e tanti amici, musica, allegria.

Io ci ho creduto tanto, era una parte di me, anzi forse l’ho troppo personalizzata, somatizzata.

Ma è il mio modo di amare le cose, le persone, gli amici, le passioni, le idee: assolutamente assoluto.

ciao Formichina, rimarrai nel mio cuore.

loghetto la formichina

STOP AL FEMMINICIDIO

stop femminicidio

STOP AL FEMMINICIDIO

mentre sto caricando quest’immagine ascolto al telegiornale l’ennesima notizia: marito uccide moglie e figlia poi si suicida…

non ci si può credere quanto questo fenomeno stia entrando nella nostra società fino a diventare una non notizia, tutte storie uguali a se stessa, solita sceneggiatura, cambia la geografia, cambia lo status sociale, cambia poco, perché nella sostanza le storie sono tutte uguali.

C’è da lavorare e tanto per tentare di capire, prevenire, curare, arginare, informare, tutelare. pochi mezzi, governi passati che ben poco o nulla hanno fatto.  figure professionali non in grado di operare sul campo. centri antiviolneza che sono una rarità da cercare sulla cartina con orari impossibili. posti letto che bisognerebbe vincere la lotteria per vere diritto ad uno.

e quale donna può denunciare, chiedere aiuto, sentirsi protetta e rassicurata?

quale donna, se non quella ad un passo dopo la disperazione può uscire allo scoperto?

ma sopratutto quale donna vuole vedere il mostro che ha accanto, di solito le sue vere sembianze si rendono visibili, dopo. dopo il fattaccio. altrimenti fino ad un minuto prima nessuna donna vuole credere che lui può arrivare a tanto, può arrivare a tutto, può arrivare a toglierle la vita.

Il paese delle vacche da latte

Questo ê il paese delle #dimissioniinbianco, palesi o occulte, Questo é il paese nel quale in un colloquio di lavoro ti chiedono se intendi avere figli allo stesso modo nel quale ti chiederebbero se intendi mandare in fallimento quell’azienda, 

Questo ê il paese nel quale la tutela della maternità è ottima, ma solo per chi ha un contratto che ti permetta di usufruirne e comunque per il datore di lavoro, una dipendente incinta é sempre una cattiva notizia e te lo farà capire, 

Questo é il paese di pochi asili nido e troppo costosi, se non in culo al mondo,

Questo ê il paese nel quale le percentuali di donne che lasciano il lavoro dopo il secondo figlio sono troppo alte, per non parlare del terzo figlio…. 

Questo ê il paese nel quale una donna deve scegliere quale prezzo pagare per la gioia della maternità, 

Questo ê il paese nel quale una ministra sciocca e fascista spende denaro pubblico per la più offensiva campagna contro la dignità delle donne. 

Diventi la Lorenzin, una vacca da latte che a diventare madri, lo decidiamo noi “quando e se” lo vogliamo diventare e prima di dimettersi chieda scusa a tutte quelle donne che non hanno potuto diventare madri.. 

E per inciso e scusate il neologismo… 

Sono sempre cazzi nostri!!!

Un luogo di tranquillo deposito di sé… 

“UN AMICO E’ UN LUOGO DI TRANQUILLO DEPOSITO DI SE'” (Rossana Rossanda)

La gratuità dell’amicizia – come dice Rossanda- sta nel dare senza togliere, nel lasciare che uno si ponga di fronte all’altro per quello che è, senza infingimenti, senza ricatti silenziosi o aspettative nascoste. Dove non c’è aggrappamento, indispensabilità reciproca, non c’è tentazione di fuga né ansia di possesso. L’amico si incontra senza risentimento per la lunga assenza, e dal silenzio che è calato in mezzo il discorso riprende come se non fosse mai stato interrotto. Difficile darne una definizione più precisa e suggestiva: “un tranquillo deposito di sé”.
Aggiungo: c’è da sperare che un giorno si possa dire lo stesso dell’amore.

Un bravo ragazzo… 

“Mio figlio è sempre stato un ragazzo modello… Insomma, un ragazzo come tanti altri. Non infangate il suo nome su tutti i giornali perché queste sono disgrazie che possono capitare a chiunque.” Parto da questo frase, pronunciata dalla madre di un uomo che ha ucciso una donna di 22 anni, dandole fuoco, colpevole di averlo lasciato e di aver iniziato una storia con un altro.parto da questa frase, per riflettere sull’assurdità che nel #femminicidio le donne sono vittime e colpevoli. 

vittime perchè i numeri sono spietati, qualcuno sostiene che anche le donne sono violente. Certo lo sono, io pure lo sono, sono violenta e aggressiva, ma non ho mai pensato di uccidere qualcuno perché ha smesso di amarmi. Anzi sono cresciuta con la fissa che se qualcuno smette di amarti, in realtà non ti abbia mai amato veramente. quindi addio. senza rancore. Magari lacrime, tante, a fiume, ma nessuna violenza su chi vuole solo sparire dalla tua vita. Allora mi chiedo perchè tanti uomini, questo addio non lo sanno accettare, non accettano l’idea di essere lasciati. è una questione culturale, ma non nel senso che sta scritto sui libriil perchè. è una questione culturale perchè cresciamo con questo modello di famiglia che è ancora il luogo dove l’uomo deve fare l’uomo, la donna deve fare la donna. E questo purtroppo è un grande inganno. Non è piu cosi. si costruisce una relazione su una base di rispetto reciproco, di amore o voglia di stare assieme reciproca; si fanno progetti di futuro in due. Ma essere coppia non vuol dire fare un patto di sangue, un patto che una donna non può sciogliere senza avere paura di come reagirà lui. Molte donne sono state ammazzate, ma c’è un’infinità di donne che vivono rapporti di coppia estremamente violenti, donne che hanno figli e per i figli non si allontanano da uomini prepotenti e violenti, donne che non amano più uomini che di loro non hanno nessun rispetto eppure continuano a viverci assieme, perchè andare via non è mai facile. Perchè questa società ancora giudica una donna che va via di casa, con i suoi figli. Perchè non si è sempre ragazze, e la paura di non farcela a ricominciare è troppa. Perchè in fondo quell’uomo che ti sei scelto, non è poi un cattivo cristiano, magari è pure un lavoratore, magari è l’unico che lavora, magari i figli hanno bisogno di stare in famiglia, magari lo ami ancora, …quando non alza le mani. Ci sono tante storie, tante donne. Non è neppure una questione di condizione sociale, non è questione di nord o sud, di città o campagna. Non è questione di età. E’ una questione culturale, in questo senso, nel senso che dobbiamo capire che questà è una questione che ci riguarda tutte, e se non riguarda noi, riguarda qualcuno di noi, vicino a noi. E forse di un uomo violento, possiamo essere mogli, amanti, compagne, ma anche figlie oppure madri, oppure amiche. Ma non pensiamo che siano casi di cronaca. la violenza domestica finisce di rado nella cronaca, più spesso, tanto più spesso rimane fra le mura di casa, e noi ci siamo dentro, o siamo oltre quel muro. Rendiamocene conto. 
— 

Beatrice Pesimena

Un bravo ragazzo …

“Mio figlio è sempre stato un ragazzo modello… Insomma, un ragazzo come tanti altri. Non infangate il suo nome su tutti i giornali perché queste sono disgrazie che possono capitare a chiunque.” Parto da questo frase, pronunciata dalla madre di un uomo che ha ucciso una donna di 22 anni, dandole fuoco, colpevole di averlo lasciato e di aver iniziato una storia con un altro.parto da questa frase, per riflettere sull’assurdità che nel #femminicidio le donne sono vittime e colpevoli. 

vittime perchè i numeri sono spietati, qualcuno sostiene che anche le donne sono violente. Certo lo sono, io pure lo sono, sono violenta e aggressiva, ma non ho mai pensato di uccidere qualcuno perché ha smesso di amarmi. Anzi sono cresciuta con la fissa che se qualcuno smette di amarti, in realtà non ti abbia mai amato veramente. quindi addio. senza rancore. Magari lacrime, tante, a fiume, ma nessuna violenza su chi vuole solo sparire dalla tua vita. Allora mi chiedo perchè tanti uomini, questo addio non lo sanno accettare, non accettano l’idea di essere lasciati. è una questione culturale, ma non nel senso che sta scritto sui libriil perchè. è una questione culturale perchè cresciamo con questo modello di famiglia che è ancora il luogo dove l’uomo deve fare l’uomo, la donna deve fare la donna. E questo purtroppo è un grande inganno. Non è piu cosi. si costruisce una relazione su una base di rispetto reciproco, di amore o voglia di stare assieme reciproca; si fanno progetti di futuro in due. Ma essere coppia non vuol dire fare un patto di sangue, un patto che una donna non può sciogliere senza avere paura di come reagirà lui. Molte donne sono state ammazzate, ma c’è un’infinità di donne che vivono rapporti di coppia estremamente violenti, donne che hanno figli e per i figli non si allontanano da uomini prepotenti e violenti, donne che non amano più uomini che di loro non hanno nessun rispetto eppure continuano a viverci assieme, perchè andare via non è mai facile. Perchè questa società ancora giudica una donna che va via di casa, con i suoi figli. Perchè non si è sempre ragazze, e la paura di non farcela a ricominciare è troppa. Perchè in fondo quell’uomo che ti sei scelto, non è poi un cattivo cristiano, magari è pure un lavoratore, magari è l’unico che lavora, magari i figli hanno bisogno di stare in famiglia, magari lo ami ancora, …quando non alza le mani. Ci sono tante storie, tante donne. Non è neppure una questione di condizione sociale, non è questione di nord o sud, di città o campagna. Non è questione di età. E’ una questione culturale, in questo senso, nel senso che dobbiamo capire che questà è una questione che ci riguarda tutte, e se non riguarda noi, riguarda qualcuno di noi, vicino a noi. E forse di un uomo violento, possiamo essere mogli, amanti, compagne, ma anche figlie oppure madri, oppure amiche. Ma non pensiamo che siano solo casi di cronaca. la violenza domestica finisce di rado nella cronaca, più spesso, tanto più spesso rimane fra le mura di casa, e noi ci siamo dentro, o siamo oltre quel muro. Rendiamocene conto. 
— 

Beatrice Pesimena

La chiamerò …sfortuna 

Guardami  quando mi parli…….. 

Guardami quando mi parli…….. 

Guardami quando mi parli…….. 

Guarda se è “vero”!? 

Guardami quando mi parli……. 

Guarda se “tremo”!? 
…mmhh!….Smettila di parlare…. 

Guardando il muro!!! 

E….. se qualcosa mi devi dire…. 

Dimmelo “duro”! 

Guardala in faccia la Realtà! 

e quando è dura!……. 

sarà “sfortuna”…… 

……..SFORTUNA!!!!! 

Guardala in faccia La Realtà! 

…….è più “sicura”! 

Guardala in faccia La Realtà… 

è “meno dura”!….. 

Se c’è qualcosa che non ti va?!?… 

…..dillo alla Luna!….. 

Può darsi che “porti fortuna”!… 

…..dirlo alla Luna!……… 

Guardami in faccia quando mi parli! 

se sei “sincera”! 

Se non mi guardi quando mi parli…. 

non sei “sicura”! 

La voglio in faccia la “verità”…. 

e se “sarà dura”!….. 

La chiamerò “sfortuna”!…. 

…..Maledetta SFORTUNA!!!!!!!!

Se c’è qualcosa che non ti va?!?… 

…..dillo alla Luna!….. 

Può darsi che “porti fortuna”!… 

…..dirlo alla Luna!……… 

La voglio in faccia la “verità”…. 

e se “sarà dura”!….. 

La chiamerò “sfortuna”!…. 

Castelli di rabbia …un pò

“È una specie di gioco. Serve quando hai lo schifo addosso, che proprio non c’è verso di togliertelo. Allora ti rannicchi da qualche parte, chiudi gli occhi e inizi ad inventarti delle storie. Quel che ti viene. Ma lo devi fare bene. Con tutti i particolari. E quello che la gente dice, e i colori, e i suoni. Tutto. E lo schifo poco a poco se ne va. Poi torna, è ovvio, ma intanto, per un po’, l’hai fregato.#alessandrobaricco #castellidirabbia …e io #beatricepesimena #loschifoaddosso

Ferite a morte… Un pò


“Il titolo sul giornale invece non era tanto grande: «Ragazza sessantaseienne uccisa da venticinque coltellate»…No, scusate è il contrario: venticinque anni, sessantasei coltellate, mi sbaglio sempre.

Due coltellate e mezzo per ogni anno della mia breve vita, solo venti dritte al cuore.

Ci vuole tempo per dare tutte quelle coltellate, pensate a quanto è lungo un minuto…

Be’, ce ne vogliono almeno tre senza fermarsi mai, e lui non si è fermato neanche per riprendere fiato, questa volta aveva paura che non schiattavo.

Perché c’aveva già provato l’anno prima, in mezzo a corso Garibaldi: è arrivato di corsa e mi ha dato quattro fendenti al collo ma qualcuno l’ha fermato, sono stata dieci giorni in coma, poi ce l’ho fatta.

L’hanno mandato ai domiciliari perché dicevano che era stato un raptus e un raptus non viene due volte, invece hai visto che sorpresa, caro giudice?

Ma io tanto insieme a lui non ci tornavo neanche morta…”

#feriteamorte #serenadandini #femminicidio 

Non ê casuale che io abbia una canotta in pizzo nero mentre taggo questo libro sul femminicidio, non é casuale perché voglio essere libera di mostrare la mia femminilità e libera di scegliere chi amare, senza per questo essere un oggetto da possedere e da eliminare quando dice … no ! 

Il biglietto di scuse, mangiatevelo e strozzatevi 

Io non voglio infierire, cari maschi, ma …..#uccide il figlio di 7 anni e poi si toglie la vita. Ma cazzo! Suicidatevi, suicidatevi 

Noi donne sopravviviamo, quando ci lasciate, ci tradite, ci violentate, sopravviviamo alla povertà, alla malattiia. Se proprio non vi sopportiamo più, vi chiediamo di andarvene, di sparire ma non vi ammazziamo, non rendiamo organi i vostri figli, né tantomeno li uccidiamo. Si, può succedere che a noi, una fottuta depressione post partuum ci renda fantasmi di noi stesse, può succedere che noi reagiamo ad un dolore, facendo le pazze, le psicopatiche e magari la voglia di sopprimervi qualche volta pure a noi, ci attraversa. Ma alla fine, vi lasciamo vivere!

Che non lo meritate neanche! P.s. E il biglietto di scuse dopo aver ucciso, mangiatevelo e strozzatevi !

Stordisciti bene bene … E poi 

Caro uomo, hai ragione, io ti capisco, capisco quello che stai provando, lei ti ha lasciato, così all’improvviso; non ti vuole più, ha scelto un’altro o semplicemente non vuole più te. Tu non riesci a vivere senza di lei, ti sembra di impazzire, e poi stai cominciando ad odiarla… A desiderare la sua morte. Ecco fermati un attimo. Aspetta che arrivi la notte, comprati una bottiglia di whisky, un pacco di sigarette, anzi no, mezzo chilo di maria, stordisciti bene, bene. Poi prenditi la tua macchina, non mettere le cinture, scegli una strada deserta con un grande albero.. E abbraccialo a 200 km… Vedrai che lei, ti amerà per sempre. Perché hai sacrificato la tua vita. Più amore di così? Invece no vero ? Ovvio, sei un vigliacco, preferisci uccidere lei. E quanta fantasia che hai. Si potrebbe scrivere il manuale del #femminicida, ormai ê diventato un mestiere. Solo per vigliacchi …che pensano di essere #uomini. E lei chissà cosa aveva visto in te. Maledetto il giorno che ti ha conosciuto! Questo post lo dedico a una giovane donna… Bruciata viva dal suo #amore.